venerdì 25 gennaio 2008

Prodi, adieu


Tra rifiuti e magistrati, finanziaria e pacchetto welfare, recessione e legge elettorale, il governo Prodi abbandona un'Italia divisa, fluttuante, in cerca di una guida seria ed affidabile. La sconfitta del Professore è la sconfitta di un idea, dietro alla quale troppe forze politiche si sono barricate senza aggiungere contenuti.

La sinistra italiana può vincere le elezioni costruendo un'unità versus il nemico Berlusconi. Ma si ferma lì. Non c'è altro. E' la seconda volta che cade in questo tranello. E se due coincidenze fanno una prova, possiamo dire che il dato è inconfutabile. Troppa eterogeneità nei contenuti, punti cardinali differenti, un patrimonio culturale che spazia da De Gasperi a Marx, da Ingrao a Moro, dagli inceneritori al nucleare, fino a Sofri. Troppi partiti, troppe teste ferme asserragliate dietro un'ideologia che mai in queste due legislature ha fatto rima con diplomazia.


Ecco perchè lo scempio di ieri al Senato poteva essere evitato. Ecco perchè ieri Prodi ha consegnato all'Italia una pagina oscura di odio e vendicativismo. Al Professore non riconosco l'onore delle armi. Perchè alla base di questo mandato c'è stata una cortina di ferro dal nome senatori a vita. Ed è stato triste guardare geni della politica, dell'arte, della scienza, strumentalizzati come fossero persone in cerca di fortuna. Questo governo ha evidenziato fin da subito un deficit informativo. E' mancato quel senso di realtà nel considerare le elezioni del 9 e 10 aprile 2006 una vittoria mutilata. Da lì parte una crisi che si è materializzata con l'Udeur, ma sarebbe presto venuto fuori anche con altre componenti.

Serve adesso stabilità. Una legislatura che vada avanti per 5 anni. Ed oltre. Occorre un ciclo che spazzi via il vento dell'antipolitica, della demagogia, di una dialettica inconsistente. Servono le riforme. A partire da una legge elettorale, che deve ispirarsi in primis alla governabilità, ridando potere di scelta al popolo e ai suoi uomini, cancellando l'obrobrio delle liste bloccate. Serve un maggioritario che scandisca gli accordi elettorali prima del voto, lontano da quel proporzionale alla tedesca che puzza di trasformismo e nasconde inciuci dell'ultimo minuto.


Non serve sicuramente un governo tecnico. Perchè i tecnici in Italia hanno una patente e il clima non permette ulteriori divisioni su nomi, amici o parenti. Non servono più, e non sono mai serviti, soprattutto, 102 personaggi tra ministri e sottosegretari, figli di una politica clientelare che ha scambiato una bandiera per un territorio di conquista. Non servono polemiche sterili su PD, Udeur, Fisichella o Diniani: il governo era sepolto da tempo (tanto da avviare su questo blog un sondaggio sulla data di sfiducia).
Ora, con Fini presidente.

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