mercoledì 31 dicembre 2008

Un augurio...

Il 2008 conta ormai le sue ultime ore, voltando pagine belle e brutte, aprendo le porte a nuovi sogni e scongiurando tragedie di borsa.
Anno che ha visto Fidel Castro annunciare il suo ritiro; anno in cui la Cina ha tentato di coprire con il capitale drammi umani, uscendo però nuda dalla mattanza mediatica; anno in cui i Tibetani hanno riscoperto il Tibet; anno in cui l'Italia si è risvegliata bipolare; anno dell'agonia delle sinistre e delle sinistre da reality;  anno di crisi finaziare, di scatoloni, mutui, grafici... ; anno in cui l'America ha creduto in un sogno; anno di un Berlusconi casual, vincente anche senza cravatta.
Sono tante le immagini per descrivere il 2008, ma ce n'è una che porterò sempre nel cuore: il sorriso paffuto, buono e simpatico di Giuseppe. Certe cose non si dimenticano, specialmente quando diventano un simbolo, simbolo che ci ricorda che credere in qualcosa, impegnarsi in qualcosa paga.
Penso di non parlare solamente a nome mio ma a nome di tutti quelli che hanno sacrificato una parte di se per permettere a quel sorriso paffuto di illuminare l'anno della crisi e farlo diventare l'anno della vittoria alla Sapienza.
Vi auguro per l'anno che verrà di provare le stesse soddisfazioni, gli stessi sorrisi che ho provato in quest'anno, vi auguro di trovare la forza per raggiungere ogni risultato e credetemi, se suderete nel raggiungerlo, sarà una soddisfazione ancor più grande.

Ad Maiora

domenica 14 dicembre 2008

mercoledì 3 dicembre 2008

Il domani è già iniziato

Il futuro, per un ragazzo degli anni '80, è qualcosa di molto vicino ad una vitamina. Un antidoto. Il futuro viene spesso richiamato come un'immagine salvifica, ed effettivamente in parte riesce ad alleviare le pene di un presente che non soddisfa mai abbastanza e ad alimentare la speranza di una Italia nuova. Troppi i punti interrogativi, dal precariato/flessibilità alla deriva valoriale, dalla gerontocrazia agli albi professionali.

Il futuro nell'immaginario collettivo fa rima con università. Un passaggio, forse fondamentale, per rispondere completamente alle curiosità di chi si affaccia alla vita adulta, contemporaneamente un ascensore sociale che negli anni, pur perdendo parte della sua forza, mantiene intatto il suo fascino.

Eppure l'egemonia di una parte politica, i privilegi degli ex sessantottini e una politica clientelare, quando non parentale, hanno costituito e tuttora rappresentano un serio pericolo per quella che dovrebbe essere una delle poche garanzie di una nazione. Agli altri, ai non allineati, agli amanti del dubbio, ai figli ribelli rimaneva quella guerra intra mentis che fortifica, matura, ma giorno per giorno isola.

Le elezioni 2008 de La Sapienza si caricano sulle spalle questi significati e aprono le porte alla nascita di un progetto: "il modello Sapienza". La vittoria eclatante di Azione Universitaria è la naturale risposta ad un principio assoluto, che negli anni ha illuminato e guidato i nostri sacrifici. Quante volte ci siamo detti che il lavoro sul campo avrebbe pagato, quante volte le rinunce avevano come naturale obiettivo queste elezioni, quante volte non ci siamo abbandonati ai facili sollazzi? Ad oggi possiamo sostenere senza indugi che la volontà guida le menti, che l'andare da soli, sebbene fosse un rischio, ha reso ancora più dolce il risultato ottenuto.

Negli anni gli universitari hanno annusato i nostri banchetti, li hanno visti, osservati, hanno ascoltato ciò che proponevamo, qualcuno ha sorriso, altri hanno storto il naso: di certo negli anni ci siamo guadagnati il loro rispetto. E se qualcuno, vedendoci nell'atrio della sua facoltà, si è fatto qualche domanda, bhè a quel qualcuno sono state date risposte. Abbiamo fatto comprendere che non siamo la generazione di "Amici", che siamo lungimiranti e crediamo in un Italia diversa, che vogliamo l'Europa dei popoli, che l'università non funziona senza gli studenti, senza didattica o con le aule okkupate. Abbiamo semplicemente spiegato loro che ci stavamo andando a prendere il futuro.

La coerenza non ha mai fatto difetto. I messaggi e i volantini sempre ragionati. I manifesti goliardici. I caffè tanti. Le chiacchiere a zero. E se arrivavano telefonate minatorie: la risposta nasceva dalla sicurezza e dal convincimento di ciò che si andava a fare. Mai un compromesso oltre l'auspicato quieto vivere, mai un compromesso per vincere queste elezioni. Fedeli a quella frase di Indro Montanelli che qualche tempo fa campeggiava su ArcadiaRoma: "L'unico consiglio che mi sento di dare – e che regolarmente do – ai giovani è questo: combattete per quello in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne. Quella che s'ingaggia ogni mattina, davanti allo specchio".

Abbiamo vinto contro tutto e contro tutti un cda e un senato accademico che fino a qualche tempo fa lasciavano pensare all'impresa. Abbiamo raccolto la fiducia e il gradimento di circa 800 studenti. Altri 250 hanno ritenuto opportuno indicare, così come secondo i regolamenti italiani, esclusivamente il nome. Semplicemente con un ideale a riscaldare il cuore e con un progetto. Rendere La Sapienza un'università migliore.

giovedì 6 novembre 2008

lunedì 13 ottobre 2008

Dentro la crisi

La crisi ha bussato alle porte delle famiglie di mezzo mondo, portando con sè tecnicismi economici e finanziari, per i più, dal significato ameno. Il Corriere della Sera cerca di mettere ordine, andando a ricostruire un dizionario, o glossario, legato al diario di questa crisi.

ASSET: termine inglese che si può tradurre con beni materiali o immateriali di un'impresa.
AZIONI: è un titolo che rappresenta una quota della proprietà di una società (a differenza delle obbligazioni che sono una sorta di prestito). Le azioni vengono quotate in borsa e possono essere nominative o al portatore.
BCE: Banca centrale europea, che ha sede a Francoforte (Germania). Definisce e attua la politica economica e monetaria dell'Unione europea, fissa il tasso ufficiale di sconto che vale per tutti i Paesi membri e garantisce la stabilità dei prezzi. Il presidente è Jean Claude Trichet.
BANCA D'AFFARI: è un istituto di credito che, diversamente delle banche commerciali, non permette depositi, ma offre servizi di alto livello e specula con elevato rischio. Le banche d'affari come Lehman Brothers, Goldman Sachs e Morgan Stanley sono considerate fra le maggiori responsabili dell'attuale crisi finanziaria.
COMMERCIAL PAPERS: sono obbligazioni a breve emesse dalle aziende, finalizzate a coprire necessità di breve periodo. Si tratta in genere di titoli sicuri.
DEFLAZIONE: situazione economica in cui si registrano tassi di inflazione negativi e i prezzi calano.
ECOFIN: l'insieme dei ministri dell'Economia e delle Finanze dei 27 Stati membri dell'Ue. Si riunisce una volta al mese a Bruxelles o a Lussemburgo, e una volta ogni sei mesi nel Paese che in quel momento detiene la presidenza del Consiglio Ue.
EURIBOR: Euro Interbank Offered Rate, è il tasso medio con cui avvengono le transazioni finanziarie in euro tra le grandi banche europee. È stato creato contestualmente all'euro il primo gennaio 1999.
EUROGRUPPO: riunisce i ministri dell'Economia e delle Finanze degli Stati membri dell'Ue che hanno adottato l'euro, attualmente 15. Ha carattere informale e si svolge alla vigilia di una riunione dell'Ecofin; il presidente in carica è il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker.
FED: Federal Reserve (Bank), o semplicemente Fed, è la Banca centrale degli Stati Uniti.
HEDGE FUND: fondi di investimento ad alto rendimento e ad alto rischio, nascono negli Stati Uniti negli anni Cinquanta. La legge americana impone che gli investitori abbiano un patrimonio di almeno un milione di dollari o entrate nette per oltre 200.000 dollari e che il numero dei soci non sia superiore a 99. Si stima che vi siano oggi almeno 10.000 fondi hedge nel settore, per un giro d'affari di 2.000 miliardi di dollari.
INDICE DI PATRIMONIALIZZAZIONE: misura percentualmente il finanziamento dell'impresa ottenuto con mezzi propri piuttosto che di terzi. Tanto più elevato è l'indice tanto più l'impresa si autofinanzia e meno ricorre a fonti esterne. Due i principali indici menzionati in questi giorni sulla stampa, relativamente alla patrimonializzazione delle banche: Tier 1 capital e Core tier 1.
INFLAZIONE: crescita del livello dei prezzi che si verifica in modo generalizzato su tutti i prodotti.
NAZIONALIZZAZIONE: passaggio di attività produttive dal settore privato al settore pubblico attraverso provvedimenti di carattere legislativo.
OBBLIGAZIONI: o bond. È un prestito, per una somma e una data determinate, concesso dall'investitore a un emittente che può essere uno Stato (titoli di Stato, come Bot e Cct), un ente pubblico o una società privata. L'obbligazione garantisce un rendimento a chi lo acquista e la restituzione della somma alla scadenza.
RATING: ovvero valutazione. Misura il grado di solvibilità attribuito all'emittente (per esempio uno Stato o un'impresa) da parte di agenzie specializzate, e si traduce in un giudizio sintetico. Le agenzie di rating più importanti sono Moody's, Standard & Poor's e Fitch.
STAGFLAZIONE: combinazione dei termini stagnazione e inflazione: è la situazione nella quale sono insieme presenti sia un aumento generale dei prezzi (inflazione) che una mancanza di crescita dell'economia in termini reali (stagnazione economica).
SUBPRIME: i mutui subprime sono quelli concessi alle persone meno facoltose e perciò con un elevato rischio di mancato rimborso delle rate. Negli Stati Uniti pesano per il 10% del mercato, mentre in Europa, tranne che in Inghilterra, il fenomeno è marginale.

venerdì 10 ottobre 2008

LA CRISI FINANZIARIA E L'EUROPA

La crisi finanziaria che si sta riversando, come era abbastanza prevedibile, anche nel vecchio continente sta generando una serie di cambiamenti di impostazione politica molto significativi.

L'intervento dei governi nella gestione delle politiche economiche segna il declino del liberismo più aggressivo, e del mercatismo, come è stato ultimamente definito. Si sta ripristinando la teoria del "mercato se possibile, Stato se necessario" e questa nuova convinzione sta rapidamente contagiando tutti i governi dei Paesi del G7. E a quanto pare il sostegno diretto degli Stati si è già verificato in più casi eclatanti, a partire dagli Stati Uniti e a seguire in importanti Paesi europei tra cui la Germania ed ora anche l'Italia, seppur secondo modalità un po' differenti.

Tuttavia sono dell'idea che le azioni dei governi dovrebbero essere il più possibile coordinate a livello europeo perchè l'occasione che ci si sta presentando per costruire una vera Europa unita è difficilmente trascurabile. Una crisi di tale entità sta minacciando seriamente le fondamenta delle strutture finanziarie di molti Stati, vale a dire le banche e i risparmiatori, dando adito alla drammatica prospettiva degli scenari più tragici per le economie nazionali. Se la cooperazione europea desse modo di tracciare un modus operandi comune e condiviso non potremo fare altro che uscire da questa crisi con più Europa. E' fondamentale, a questo proposito, prendere seriamente in considerazione l'idea lanciata dalla Francia, e seguita dall'Italia, di dare vita ad un Fondo monetario europeo che possa essere messo a disposizione degli Stati che ne dovessero avvertire urgentemente il bisogno per dare più ossigeno alla liquidità dei loro istituti finanziari.
La solidarietà è uno dei principali presupposti dell'integrazione politica ed economica dell'Europa.

In ogni caso la teoria del capitalismo puro e senz'anima sta barcollando pietosamente dimostrando che le idee che si sono sempre ispirate ad un'etica politica nell'economia sono dure a tramontare.

domenica 5 ottobre 2008

Nanni è partito

"...l'orco lo fece prigioniero, e una porta per scappare lui non la trovò.
E allora divenne un uccello, e attraverso le sbarre nel cielo volò.
Nanni è partito, ma ritornerà...tornerà quando tu chiamerai.
Nanni è partito, ma se lo vorrai, tornerà quando sogni da te..."

mercoledì 17 settembre 2008

Ecco la lettera di Giorgia Meloni...

Carissimi,
credo che a nessuno di voi sia sfuggito il tentativo di strumentalizzazione messo in atto sulla antica diatriba fascismo-antifascismo ai danni di Azione giovani, anche per qualche nostra ingenuità.


Ero convinta che il comportamento di migliaia di ragazzi nell’incontro con il presidente Fini ad Atreju avesse rivelato alla politica e al mondo dell’informazione qualcosa di più del nostro modo di essere e di pensare. Così non è stato. Così non si è voluto che fosse. Ritengo dunque opportuno intervenire, anche per non essere ingiustamente attaccati in nome di cose né dette né pensate.

Non cadete nel tranello. Siamo stati e restiamo gente che crede nella libertà, nella democrazia, nell’uguaglianza e nella giustizia. Siamo quelli che ogni giorno consumano i migliori anni della propria gioventù per difendere questi valori, al punto che se oggi qualcuno si mettesse in testa di reprimerli – come avviene in Cina, a Cuba o in altre parti del mondo – noi li difenderemmo con la vita. Sono i valori sui quali si fonda la nostra Costituzione e che sono propri anche di chi ha combattuto il fascismo.

Certo, c'è stato anche un antifascismo "militante" in nome del quale sono stati uccisi presunti fascisti e anche antifascisti, sono stati infoibati vecchi, donne e bambini, sono stati eliminati ragazzi di sedici anni che avevano come unica colpa quella di far parte della nostra organizzazione. Certo, ancora oggi, in nome dell’antifascismo "militante" ad alcuni di noi viene impedito di andare a scuola, all’università, al cinema. Si tratta della mia obiezione ed è la stessa di Gianfranco Fini che, ad Atreju, ha operato questa distinzione, parlando di un antifascismo democratico e uno non democratico, ovvero di una parte di questo fenomeno nei cui valori ci riconosciamo e di un'altra parte le cui gesta sono distanti anni luce dai principi nei quali crediamo (e nei quali dovrebbe credere anche l'altro antifascismo). Noi rifiutiamo ogni forma di violenza, oppressione e intolleranza. 

Gianfranco Fini ha operato questa distinzione senza soffermarcisi perché voleva che il suo giudizio sul fascismo fosse chiaro, netto, definitivo. Sapeva che molti di noi sarebbero stati feriti da questo atteggiamento, ma non ha voluto blandirci come fossimo ragazzini inconsapevoli. Sapeva di avere davanti gente piena di dignità, giovane e matura nello stesso tempo. Ed è quello che siamo. 

E allora guai a offrire pretesti a una sinistra terrorizzata dall'impossibilità di utilizzare ancora contro di noi quella carta jolly rappresentata dall'accusa di fascismo. Guai a farci mettere ancora sotto accusa da chi, per storia, ha decisamente poche lezioni da offrire. Così da poter essere finalmente noi a chiedere conto del perché, ancora oggi, non una parola di solidarietà venga spesa dai sedicenti democratici quando i ragazzi di Ag vengono aggrediti o le loro sedi date alle fiamme. 

E adesso, per favore, basta. Basta con questa storia del fascismo e dell’antifascismo. Mi rivolgo a tutti, dentro e fuori da Azione giovani, dentro e fuori da An, dal Pdl, da Montecitorio, dalla politica italiana intera. Pietà! Siamo nati a ridosso degli anni ’80 e ’90, siamo tutti protesi anima, cuore e testa nel nuovo millennio. Dobbiamo respingere insieme questo tentativo di rinchiudere quella meravigliosa gioventù che svolgeva poche ore fa la più grande manifestazione giovanile d’Italia in uno spazio angusto di quasi cento anni or sono. Ragazzi, stiamo vincendo e questo non va giù a una sinistra sempre più priva di risposte concrete e suggestioni efficaci. Che ha completamente perso il contatto con la nostra generazione e ora cerca di costringerci all’interno di una galera civile per evitare che il nostro amore possa continuare a contagiare altri giovani italiani.
 
Non ne posso più di parlare di fascismo e antifascismo, e non intendo farlo ancora. Voglio fare altro, occuparmi di questo presente e di questo futuro. Come ognuno di voi, voglio fare politica nell’Italia di oggi, per dare una speranza all’Italia di domani. Tutto il resto è noia.

 Giorgia Meloni
pres. naz. Azione Giovani
I VALORI NON SI BARATTANO

La polemica sull'antifascismo ha preso una piega completamente sbagliata e soprattutto irresponsabile. Per qualche giorno abbiamo ritenuto oppoprtuno partecipare al dibattito sui valori con un silenzio abbastanza singolare. Un silenzio che era diretto a rivendicare l'esistenza di molte contraddizioni in cui eravamo stati costretti ad incappare a causa delle dichiarazioni di Fini alla festa nazionale di Azione Giovani. Contraddizioni che sono state messe giustamente in evidenza dalla lettera di Federico Iadicicco, di cui si dibatte oggi sui giornali. Nelle parole di Federico abbiamo semplicemente risentito i contenuti principali dell'assemblea plenaria di Azione Giovani che si è svolta domenica scorsa alla presenza di tutti i principali dirigenti del movimento e del presidente nazionale, nel corso della quale si era espressa una critica, condivisa all'unanimità, nei confronti dei concetti espressi da Fini.
Lo strano evolversi degli eventi mi ha dato modo di riflettere e di fare alcune considerazioni.

Fini ha dato il via a quello che, nella sua mente, doveva essere l'ennesimo esame a cui sottoporre la destra, esame che, nei termini in cui è stato impostato, si è rivelato troppo avveniristico. Nelle sue parole ha descritto idealmente una destra che non esiste e lo ha fatto per ottenere la legittimazione da parte degli osservatori e dei critici. La domanda che mi sono posto è stata la seguente: dopo aver ottenuto la legittimazione popolare con la vittoria alle elezioni nazionali, dopo essere riusciti a fare eleggere anche il sindaco a Roma nella persona di Alemanno, che dalla gente è visto come uno degli esponenti della corrente più a destra di AN, dopo avere ottenuto addirittura un ministro della Repubblica che è espressione diretta del movimento giovanile, di quale altra legittimazione abbiamo bisogno? La gente che ci ha votato è quella che ci vede da anni impegnati nelle nostre battaglie con tutta la nostra forza ideale, il nostro bagaglio valoriale, i nostri riferimenti culturali e storici ed i nostri simboli. Dunque se la gente ci ha già accettato da tempo per come siamo, perchè dobbiamo sforzarci di apparire come NON siamo?

E' evidente che nella definizione di antifascista non si riconosce una gran parte non solo del movimento giovanile, ma anche del partito di cui facciamo parte. Questa affermazione chiaramente NON implica che tali persone si riconoscano nella definizione opposta, quella di fascista, ma significa semplicemente che il termine antifascista, per l'uso strumentale che ne è stato fatto negli anni, non può rappresentare la destra democratica di oggi.
Questo evidente imbarazzo in cui la destra è stata introiettata è dimostrato dal mercatino dei valori che si è aperto in questo momento, che dimostra quanta speculazione venga fatta ancora oggi dietro i termini.
I valori non si possono comprare, non può e non deve bastare una dichiarazione o un post scriptum a definire un'identità, ma vanno assimilati e sentiti dentro la propria coscienza. Finchè non esiste la condivisione dei valori e non si è disposti a difenderli e a battersi per affermarli e diffonderli vuol dire che non vi sono le condizioni per constatarne l'esistenza.
L'esempio che le forze politiche ci stanno dando con il loro comportamento non è di certo encomiabile. Definirsi antifascisti nella misura in cui i miei avversari si definiscono anticomunisti e viceversa lo trovo sinceramente ridicolo.
L'evolversi degli eventi ha fatto emergere la pura verità: gli esaminatori sono ancora troppo immaturi e impreparati per dare lezioni di valori democratici e gli esaminandi...beh a volte eccedono un po' troppo nello zelo.

domenica 7 settembre 2008

da IL TEMPO: Addio fiaccola, An copia Cl Atreju sarà il nuovo Meeting

A guardare il manifesto che ha già tappezzato Roma, sembra che sta per cominciare l'ultima festa dei giovani di An. In realtà non è così. O non è proprio così. Atreju, la kermesse che ogni anno riapre il dibattito politico nella Capitale, cambia.

Cambia pelle. Ma solo quella. Azione giovani, l'organizzazione giovanine del partito di Fini, che la organizza ogni anno, ne dà un taglio nuovo. Diverso. 
Dunque, la prima novità è che scompare il tradizionale logo della fiaccola. Non c'è sui manifesti e non c'è neanche sul sito della manifestazione, www.atreju.tv. Soprattutto Berlusconi non voleva una manifestazione di partito. Anzi, non voleva una manifestazione di una singola formazione interna a un partito che sta per confluire nel Pdl. Ha chiesto, ha imposto che fosse una cinque giorni di dibattiti aperta anche alle altre organizzazioni junior degli altri partiti del centrodestra. E che questi non arivassero al parco del Celio solo come ospiti ma fossero coivolti nell'organizzazione stessa di Atreju. Tanto che proprio sul sito della kermesse si legge quasi a giustificare tutto: «Il decennale di Atreju cade in un momento assai particolare di straordinarie evoluzioni in ogni ambito. Per la prima volta, la festa di Azione Giovani si apre alle altre esperienze politiche destinate a confluire nel Popolo della Libertà. Non solo. All'interno del villaggio avranno diritto di cittadinanza nuove associazioni culturali, sociali e sportive. Insomma, come sempre, Atreju sarà una festa di parte piuttosto che di partito». Di un partito che sta per finire nel popolo delle Libertà.
Niente fiaccola cambia anche il senso della festa. Il nuovo format è quello del Meeting di Rimini che ogni anno si svolge a Rimini. Organizzato da Comunione e Liberazione, il meeting impone i temi al dibattito politico. Costringe, di fatto, esponenti di destra e di sinistra a discutere e confrontarsi dei temi cari al mondo cattolico. Così anche Atreju diventa una festa ecumenica. Già dal primo giorno, mercoledì prossimo, visto che verrà consegnato un premio a Clemente Russo, il pugile peso massimo argento a Pechino, che aveva duellato proprio con Giorgia Meloni, presidente di Ag, alla vigilia delle Olimpiadi: materia del contendere, il boicottaggio della cerimonia inaugurale in solidarietà per il Tibet. Il giovedì sarà la giornata di Silvio Berlusconi, prima però un convegno del pomeriggio metterà a confronto i sindaco di Roma, Alemanno, di Verona, Tosi, e Bologna, Cofferati.
E il nuovo format è proprio questo: a confronto sempre idee diverse ma non opposte. Venerdì si parla di ambiente con Fabio Rampelli (Pdl), Angelo Bonelli (Verdi), il fondatore di Marevivo Folco Quilici , il presidente di Italia Nostra Carlo Ripa di Meana e il giornalista Mario Tozzi, mentre in serata si parlerà di interesse nazionale con Ignazio La Russa, Piero Fassino, Carlo Jean, Lucia Annunziata.
Sabato un inedito. Gianfranco Fini sarà intervistato dai giovani non solo di destra. Ma anche il leghista Paolo Grimondi e il forzista Francesco Pasquali, con l'uddiccino Pirrsante Morandini. La novità è che a porre domande al presidnete della Camera ci saranno anche Pina Picerno, ministro ombra delle Politiche Giovanili, e Fausto Raciti, leader della sinistra giovanile. E la serata sarà chiusa da Edoardo Bennato, un tempo noto per le sue simpatie di sinistra. Domenica si conclude.
E si apre un nuovo ciclo nel quale anche i giovcani di destra dovranno ripensare il loro futuro. Si battono per la riscoperta delle identità e ammainano la fiaccola che era il simbolo di quel mondo da quando divenne nel 1963 il simbolo della Giovine Italia. Si cambia, dunque. Si cambia pelle ma non il cuore. 

venerdì 5 settembre 2008

BENTORNATI!!!

Ci siamo regazzi, pronti a ripartire?

giovedì 24 luglio 2008

UN ANNO RICCO DI SFIDE

Innanzitutto, in qualità di uno tra gli assidui animatori di questo blog, desidero chiedere scusa a tutti i lettori se negli ultimi tempi abbiamo latitato (e penso di parlare a nome del gruppo...chi la sa riderà!!), ma una serie di impegni e di problemi ci hanno un po' distratto.

Ci stiamo avvicinando ad una pausa che accompagna la fine di quest'anno politico, una pausa molto breve perchè sarà finalmente interrotta ai primi di settembre con uno degli appuntamenti politici più interessanti, dal mio punto di vista di parte: Atreju, la festa nazionale di Azione Giovani. Sono proprio curioso di vederla quest'anno che il presidente nazionale del movimento, Giorgia Meloni, è arrivata a Palazzo Chigi. Probabilmente il tema tormentone della festa sarà sempre uno: come risolvere questa annosa questione dell'esistenza di due movimenti giovanili diversi nell'ambito dello stesso partito. Ritengo che questa sia una delle sfide più appassionanti da quando mi sono avvicinato alla politica perchè dalle mosse che si faranno adesso dipenderanno la forma e la sostanza del futuro della nostra comunità politica. Abbiamo quindi l'arduo compito di dettare quelli che saranno (forse) i nuovi principi della militanza del futuro.

Si tratta di un lavoro difficile sotto l'aspetto sia delle motivazioni che della comunicazione, per questo penso che sia utile interrogarsi sul significato del concetto di Identità. Per molto tempo ho ritenuto che si trattasse di un qualcosa di indeclinabile e l'ho ricondotta ad una serie di valori, di ideali e ad uno stile di vita e di comportamento. L'ho interpretata secondo una visione elitaria per cui non poteva esistere la condivisione della stessa Identità tra individui provenienti da esperienze che fossero diverse dalla mia, votate all'impegno e al sacrificio. Ma adesso mi chiedo se l'identificazione e l'Identità possono integrarsi tra loro o no. L'identificazione in idee provenienti da esperienze diverse dalla mia possono allargare i confini della mia Identità? Di recente il Ministro della Pubblica Istruzione, in un incontro con i giovani di Azione Universitaria, ha espresso dei concetti molto chiari e delle linee programmatiche, nonchè una certa forza d'animo, in cui mi sono pienamente identificato e in cui il presidente nazionale di Azione Universitaria, Giovanni Donzelli, ha detto di rivedere ciò che da tempo noi rivendichiamo sui volantini che distribuiamo all'università. Questo mi ha fatto pensare che non esiste tutta questa distanza ideale che pensavo tra me e una persona che appartiene ad un passato diverso dal mio.

Se la condivisione di un'esperienza si basa su idee, principi, valori e programmi e non sull'appartenenza, sui simboli, sui modelli e sui ricordi il concetto di Identità può essere attualizzato e adattato senza essere stravolto. Considerando poi che i simboli i modelli e i ricordi possono essere coltivati ed onorati anche nella sfera intima e personale senza necessariamente essere ostentati.

Ancora non mi sono dato una risposta a questi miei interrogativi...la sto aspettando dentro di me.

martedì 8 luglio 2008

«La strage di Bologna, fu un incidente della resistenza palestinese» Cossiga dal Corriere della sera

Presidente Cossiga, auguri per i suoi ottant'anni. Lei è sempre malatissimo, e tende sempre a relativizzare il suo cursus honorum — Viminale, Palazzo Madama, Palazzo Chigi, Quirinale —. Eppure la vita le ha dato longevità e potere. Come se lo spiega?«Ma io sono ammalatissimo sul serio! Nove operazioni, di cui cinque gravi, una della durata di sette ore, seguita da tre giorni di terapia intensiva. Ma resisto. Come si dice in sardo: "Pelle mala no moridi"; i cattivi non muoiono. E io buono non sono. Io relativizzo tutto quello che non attiene all'eterno. E poi, come spiego in un libro che uscirà a ottobre, "A carte scoperte", scritto con Renato Farina, tutte le cariche le ho ricoperte perché in quel momento e per quel posto non c'era nessun altro disponibile. Io uomo di potere? Sempre a ottobre uscirà un altro libro — "Damnatio memoriae in vita" — con tutti gli articoli, lettere e pseudo saggi di insulti e peggio pubblicati durante il mio settennato contro di me da Repubblica ed Espresso ».
A trent'anni dalla morte di Moro, il consulente che le inviò il Dipartimento di Stato, Steve Pieczenick, ha detto: «Con Cossiga e Andreotti decidemmo di lasciarlo morire». Quell'uomo mente? Ricorda male? Ci fu un fraintendimento tra voi? O a un certo punto eravate rassegnati a non salvare Moro?«Quando, con il Pci di Berlinguer, ho optato per la linea della fermezza, ero certo e consapevole che, salvo un miracolo, avevamo condannato Moro a morte. Altri si sono scoperti trattativisti in seguito; la famiglia Moro, poi, se l'è presa solo con me, mai con i comunisti. Il punto è che, a differenza di molti cattolici sociali, convinti che lo Stato sia una sovrastruttura della società civile, io ero e resto convinto che lo Stato sia un valore. Per Moro non era così: la dignità dello Stato, come ha scritto, non valeva l'interesse del suo nipotino Luca».
Esclude che le Br furono usate da poteri stranieri che volevano Moro morto?«Solo la dietrologia, che è la fantasia della Storia, sostiene questo. Tutta questa insistenza sulla "storia criminale" d'Italia è opera non di studiosi, ma di scribacchini. Gente che, non sapendo scrivere di storia e non essendo riusciti a farsi eleggere a nessuna carica, scrivono di dietrologia. Fantasy, appunto ».
Quale idea si è fatto sulle stragi definite di «Stato», da piazza Fontana a piazza della Loggia? La Dc ha responsabilità dirette? Sapeva almeno qualcosa?«Non sapeva nulla e nessuna responsabilità aveva. Molto meno di quelle che il Pci (penso all'"album di famiglia" della Rossanda) aveva per il terrorismo rosso».
Perché lei è certo dell'innocenza di Mambro e Fioravanti per la strage di Bologna? Dove vanno cercati i veri colpevoli?«Lo dico perché di terrorismo me ne intendo. La strage di Bologna è un incidente accaduto agli amici della "resistenza palestinese" che, autorizzata dal "lodo Moro" a fare in Italia quel che voleva purché non contro il nostro Paese, si fecero saltare colpevolmente una o due valigie di esplosivo. Quanto agli innocenti condannati, in Italia i magistrati, salvo qualcuno, non sono mai stati eroi. E nella rossa Bologna la strage doveva essere fascista. In un primo tempo, gli imputati vennero assolti. Seguirono le manifestazioni politiche, e le sentenze politiche».
Scusi, i palestinesi trasportavano l'esplosivo sui treni delle Ferrovie dello Stato? «Divenni presidente del Consiglio poco dopo, e fui informato dai carabinieri che le cose erano andate così. Anche le altre versioni che raccolsi collimavano. Se è per questo, i palestinesi trasportarono un missile sulla macchina di Pifano, il capo degli autonomi di via dei Volsci. Dopo il suo arresto ricevetti per vie traverse un telegramma di protesta da George Habbash, il capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina: "Quel missile è mio. State violando il nostro accordo. Liberate subito il povero Pifano"».
C'è qualcosa ancora da chiarire nel ruolo di Gladio, di cui lei da sottosegretario alla Difesa fu uno dei padri? «I padri di Gladio sono stati Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani, Gaetano Martino e i generali Musco e De Lorenzo, capi del Sifar. Io ero un piccolo amministratore. Anche se mi sono fatto insegnare a Capo Marrangiu a usare il plastico».
Il plastico?«I ragazzi della scuola di Gladio erano piuttosto bravi. Forse oggi non avrei il coraggio, ma posseggo ancora la tecnica per far saltare un portone. Non è difficile: si manipola questa sostanza che pare pongo, la si mette attorno alla struttura portante, quindi la si fa saltare con una miccia o elettricamente... ».
E' sicuro che il plastico di Gladio non sia stato usato davvero? «Sì, ne sono sicuro. Gli uomini di Gladio erano ex partigiani. Era vietato arruolare monarchici, fascisti o anche solo parenti di fascisti: un ufficiale di complemento fu cacciato dopo il suo matrimonio con la figlia di un dirigente Msi. Quasi tutti erano azionisti, socialisti, lamalfiani. I democristiani erano pochissimi: nel mio partito la diffidenza antiatlantica è sempre stata forte. Del resto, la Santa Sede era ostile all'ingresso dell'Italia nell'Alleanza Atlantica. Contrari furono Dossetti e Gui, che pure sarebbe divenuto ministro della Difesa. Moro fu costretto a calci a entrare in aula per votare sì. E dico a calci non metaforicamente. Quando parlavo del Quirinale con La Malfa, mi diceva: "Io non c'andrò mai. Sono troppo filoatlantico per avere i voti democristiani e comunisti"».
Qual è secondo lei la vera genesi di Tangentopoli? Fu un complotto per far cadere il vecchio sistema? Ordito da chi? Di Pietro fu demiurgo o pedina? In quali mani? «Credo che gli Stati Uniti e la Cia non ne siano stati estranei; così come certo non sono stati estranei alle "disgrazie" di Andreotti e di Craxi. Di Pietro? Quello del prestito di cento milioni restituito all'odore dell'inchiesta ministeriale in una scatola di scarpe? Un burattino esibizionista, naturalmente ».
La Cia? E in che modo? «Attraverso informazioni soffiate alle procure. E attraverso la mafia. Andreotti e Craxi sono stati i più filopalestinesi tra i leader europei. I miliardi di All Iberian furono dirottati da Craxi all'Olp. E questo a Fort Langley non lo dimenticano. In più, gli anni dal '92 in avanti sono sotto amministrazioni democratiche: le più interventiste e implacabili».
Quando incontrò per la prima volta Berlusconi? Che cosa pensa davvero di lui, come uomo e come politico? «Era il 1974, io ero da poco ministro. Passeggiavo per Roma con il collega Adolfo Sarti quando incontrai Roberto Gervaso, che ci invitò a cena per conoscere un personaggio interessante. Era lui. Parlò per tutta la sera dei suoi progetti: Milano 2 e Publitalia. Non ho mai votato per Berlusconi, ma da allora siamo stati sempre amici, e sarò testimone al matrimonio di sua figlia Barbara. Certo, poteva fare a meno di far ammazzare Caio Giulio Cesare e Abramo Lincoln...».
Ci sono accuse più recenti.«Non facciamo i moralisti. Il premier britannico Wilson fece nominare contessa da Elisabetta la sua amante e capo di gabinetto. Noi galantuomini stiamo con la Pompadour. Quindi, stiamo con la Carfagna ».
Lei non è mai stato un grande estimatore di Veltroni. Come le pare si stia muovendo? Resisterà alla guida del Pd, anche dopo le Europee? «E che cosa è il Pd? Io mi iscriverei meglio a ReD, il movimento di D'Alema, di cui ho anche disegnato il logo: un punto rosso cerchiato oro. Veltroni è un perfetto doroteo: parla molto, e bene, senza dire nulla. Perderà le Europee, ma resisterà; e l'unica garanzia per i cattolici nel Pd che non vogliono morire socialisti».
Perché le piace tanto D'Alema?«Perché come me per attaccare i manifesti elettorali è andato di giro nottetempo con il secchio di colla di farina a far botte. Perché è un comunista nazionale e democratico, un berlingueriano di ferro, e quindi un quasi affine mio, non della mia bella nipote Bianca Berlinguer che invece è bella, brava e veltroniana. E poi è uno con i coglioni. Antigiustizialista vero, e per questo minacciato dalla magistratura ».
Cosa pensa dei giovani cattolici del Pd? Chi ha più stoffa tra Franceschini, Fioroni, Follini, Enrico Letta? «Sono una generazione sfortunata. Il loro futuro è o con il socialismo o con Pierfurby Casini».
Come si sta muovendo suo figlio Giuseppe in politica? E' vero che lei ha un figlio "di destra" e una figlia, Annamaria, "di sinistra"?«Li stimo molto entrambi. Tutti e due sono appassionati alla politica come me. Mia figlia è di sinistra, dalemiana di ferro, e si iscriverà a ReD. Mio figlio è un conservatore moderno, da British Conservative Party. Io pencolo più verso mio figlio».
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E' stato il matrimonio il grande dolore della sua vita?«Non amo parlare delle mie cose private. Posso solo dire che la madre dei miei figli era bellissima, intelligentissima, bravissima, molto colta. Che ha educato benissimo i ragazzi. E che io l'ho amata molto».
Aldo Cazzullo08 luglio 2008

sabato 28 giugno 2008

domenica 15 giugno 2008

Francesco Cecchin


"Quello che veramente ami rimane, il resto è scorie.

Quello che veramente ami non ti sarà strappato.

Quello che veramente ami è la tua eredità."

-Ezra Pound-

venerdì 6 giugno 2008

OLANDA VS ITALIA PUB MULLIGANS ORE 20


Perchè non guardate la partita insieme a noi? La redazione ha il piacere di sostenere la nazionale di calcio insieme a voi! L'appuntamento è aperto a tutti! Ci vediamo in via del Boschetto N°28 alle ore 20 del 9 giugno(è una traversa di via Nazionale, molto semplice da raggiungere), al pub Mulligans. Vi aspettiamo, portate anche vostri amici, anche amici di amici, e se hanno amici... anche i loro amici. Vi aspettiamo!

ps. la birra è ottima

Per ulteriori informazioni inviante una mail a arcadia.roma@libero.it



IL DIVO


La domanda è abbastanza semplice e si nasconde dietro i mille e più complimenti che "Il Divo" ha ricevuto in questi giorni in tv, sui giornali, in radio e sul web.
Ma il cinema italiano è rinato davvero?
Il film lascia pochi dubbi sulla qualità della pellicola. Fatta bene davvero, curata nei minimi dettagli, con un'astuta ricerca dell'infografica e un montaggio spesso sorprendente. E come non spendere alcune parole sugli attori. Toni Servillo avrà creato seri problemi di identità al "Papa Nero", Carlo Buccirosso incarna al meglio la napoletanità (fatta di ironia, lassismo, magheggi e creatività) di Cirino Pomicino, Flavio Bucci riesuma l'arrivismo e l'amicizia incondizionata al Giulio Immortale, il potere.
Aldilà della premessa, "Il Divo" rimane un film destinato a dividere. Nel senso che si cuce addosso una tesi e la porta avanti con fermezza. Pochi dubbi, nemmeno le briciole alla magistratura, una sola certezza. Questa certezza pervade due ore vissute intensamente, attraverso accadimenti che hanno segnato la storia dell'Italia, scritti sui libri di storia, custoditi intorno ad una diplomazia terminologica che a seconda delle chiavi di lettura assegnate sfocia nel Fato (rispetto al quale il Giulio cinematografico denuncia più e più volte di non credere), nel disegno divino (rispetto al quale si intravede un rapporto "contemporaneo", a cavallo fra paganesimo e secolarizzazione), o nella lucida strategia di un uomo assetato di potere.
La spina dorsale della pellicola si scorge in un passaggio di poco più di due minuti. Un monologo in cui si intravede un Andreotti in vestaglia, tra quelle mura domestiche che in cinquant'anni di politica italiana avranno conosciuto molti nomi, mille vicende, tanta ricchezza. E' un atto di coraggio, un'ammissione di colpevolezza rivolta a Lidia, moglie fedele nella buona e nella cattiva sorte. Questo passaggio, semplicemente perfetto nell'interpretazione, parla della verità e del suo significato rispetto alla storia del 7 volte Presidente del Consiglio. Una verità che, a dispetto dei secoli, mantiene un rapporto di immortale incompatibilità con il potere. L'analisi è lucida, ma l'accostamento con i fatti, in alcune situazioni, è strumentale rispetto alla ricostruzione della realtà.
Un film che vede rinascere il cinema italiano intorno ad un tema verso cui il popolo manifesta forte sensibilità. Imperdibile, anche se relega alcuni aspetti del Divo in soffitta. Di certo andrà a far parte del patrimonio culturale che la seconda repubblica consegnerà ai posteri.

mercoledì 4 giugno 2008

Clamoroso, il Milan potrebbe giocare la Champions

La federazione bulgara ha chiesto l'esclusione del Cska Sofia dai preliminari della prossima Champions League: la squadra campione di Bulgaria risulta notevolmente indebitata con il governo e con le banche bulgare, tanto da portare ad una importante sanzione. Notizia di secondo piano? Nient'affatto. Se l'Uefa, che in settimana dovrebbe esprimersi sulle questione, dovesse infatti confermare l'esclusione del club balcanico, il posto nel secondo turno preliminare della Champions League dovrebbe spettare per regolamento non alla seconda classificata del campionato bulgaro, ma alla squadra con il più alto coefficiente Uefa esclusa dalla massima competizione: ovvero, a sorpresa, il Milan. Il caso ha un "semi-precedente" proprio con i Rossoneri: quando nel 2006 il Milan fu messo sotto inchiesta per la faccenda Calciopoli, il suo posto nei preliminari contro la Stella Rossa era stato reclamato con diritto maturato dai medesimi requisiti, dal Lens. Si attende dunque qualcosa di più concreto nelle prossime ore anche da parte della società di Via Turati, che nella giornata di domani potrebbe già consultare i suoi legali specializzati.

martedì 3 giugno 2008

AZIONE GIOVANI PER IL RISPETTO DEI
DIRITTI UMANI
Ancora una volta Azione Giovani ha voluto riportare l'attenzione sulla questione della violazione dei diritti umani in Cina. Per farlo ha voluto approfittare dell'evento "Cina Vicina", organizzato all' Auditorium di Roma sabato scorso, in cui una serie di esibizioni come la Danza del Dragone avevano lo scopo di esaltare la cultura cinese in vista delle prossime Olimpiadi. I ragazzi di AG hanno irrotto nella scena pochi minuti prima dell'inizio e hanno esposto uno striscione con la scritta "Cina Assassina Festival" e una mostra di raccapriccianti fotografie che testimoniavano i soprusi e le torture che avvengono in Cina. Hanno distribuito volantini e scandito cori per chiedere che la Comunità Internazionale apra gli occhi di fronte a questo scempio. La proposta: obbligare la Cina a firmare un Protocollo con la promessa che attuerà le misure necessarie nel campo dei diritti umani, per introdurre i più basilari principi di rispetto dell'uomo e della sua vita.
Il tutto si è svolto all'insegna dell' Azione, del Rumore e della Velocità, come è nel carattere irriverente dei ragazzi di destra, e in modo del tutto pacifico e senza creare disagi di ordine pubblico. Dopo aver tenuto la scena per una ventina di minuti i ragazzi si sono allontanati tra gli applausi della gente che condivideva la loro coraggiosa posizione.
Noi ovviamente, in quanto parte della comunità militante di Azione Giovani, abbiamo partecipato fisicamente e idealmente alla manifestazione, ne condividiamo il messaggio e le modalità.
E' vergognoso che nel Paese in cui è prossimo l'inizio delle Olimpiadi, simbolo di civiltà, di pace e di dignità dell'uomo, continuino ad esistere fenomeni come la pena di morte, il controllo coattivo delle nascite, la repressione del popolo tibetano, i campi di lavoro forzato, che poco hanno a che fare con lo spirito di cui lo Olimpiadi sono la bandiera.
Vogliamo che tutto questo abbia fine.


sabato 31 maggio 2008

ALL'ARMI SIAM COLLETTIVI!!!!!!!!

E' paradossale. Estremisti di sinistra che sembrano rievocare gli "antichi albori" delle squadre del Fascio, ma che credono di agire proprio per cancellare gli strascichi di quel modus operandi. Niente di più immaturo ed inappropriato. Gli atteggiamenti assunti dai membri dei collettivi nei confronti del Preside della Facoltà di Lettere manifestano una cattiva educazione basata sulla vera intolleranza. Sono d'accordo con Paolo quando dice che sarebbe giusto che l'istituzione universitaria ponesse una linea guida nell'attivismo culturale degli studenti, senza alcun accorgimento politico-ideologico, ma nel momento in cui un evento dovesse essere accettato trovo inammissibile che entrino in scena i "guardiani del sapere"( di quale sapere..?..) a fare un'ulteriore selezione tra ciò che è giusto ascoltare e ciò che non lo è.
La Facoltà non è di questi fenomeni da baraccone, il sapere non è loro, ma appartiene a tutti noi e dobbiamo saperlo difendere con le unghie e con i denti. I veri sconfitti di questa vicenda sono proprio i collettivi e tutti coloro che li difendono, sono queste persone che hanno un'identità talmente debole che riescono a farsi utilizzare dal primo stratega della politica che gli dica, per i suoi fini elettorali, di agire in questo modo per mettere in evidenza questo presunto "vento di destra" che si abbatte sul Paese. Non si accorgono che diventano sempre più delle pedine del sistema che dicono di voler combattere!

Aprirsi al dialogo e al confronto, sforzarsi, per quanto difficile questo possa essere, di ascoltare un avversario e accettare che questi possa non condividere ciò che diciamo è la lezione che abbiamo imparato dalla stagione dell'odio, grazie anche ai buoni esempi come quel Giorgio Almirante su cui tante malignità sono state dette.

venerdì 30 maggio 2008

Parla il Preside della Facoltà di Lettere


Tratto dal "Corriere della Sera"


Sapienza, preside minacciato
e sequestrato dai collettivi
L'intervento della polizia. Pescosolido: «Temo per i miei figli»


ROMA — «Ci hanno di fatto sequestrato per almeno venti minuti. Lì fuori erano più di un centinaio, tutti dei Collettivi di sinistra. Non potevamo uscire. Poi hanno cercato di sfondare la porta prendendola a calci. Gridavano: "Dimettiti o ti mandiamo via noi", "Non ti faremo più insegnare", "Non potrai più mettere piede qui"». La voce di Guido Pescosolido, docente di Storia moderna e da sette anni preside della facoltà di Lettere all'università romana de «La Sapienza», non tradisce emozioni: «Sa, in sette anni di presidenza ho fatto il callo un po' a tutto. Ma questo episodio è oggettivamente gravissimo. Non mi è mai capitato di essere assediato in presidenza, con due segretarie e il collega Vittorio Vidotto, e di dover uscire scortato da venti poliziotti in borghese... »

Cosa farà, ora, professore? «La situazione sta diventando insostenibile. Sto valutando il da farsi con la mia famiglia». Ovvero, pensa davvero alle dimissioni? «Non escludo alcuna decisione nei prossimi giorni. Anche perché temo per la libertà di insegnamento e la stessa vita democratica della facoltà. Alcuni colleghi, per esempio Lucetta Scaraffia, mi hanno segnalato casi in cui gruppi dei Comitati hanno tentato di far sospendere le lezioni o di imporre una discussione su fascismo e antifascismo. Se si comincia con questi metodi, mi pare obbligatorio aprire una riflessione approfondita e molto seria su quanto sta accadendo alla facoltà di Lettere».

In sette anni Pescosolido insomma ha «fatto il callo». Ma un sequestro, no: non l'aveva mai visto né vissuto. Così come non gli era mai capitato (il fatto risale a mercoledì mattina, quando era stata organizzata una prima manifestazione anti-Pescosolido davanti alla presidenza della facoltà) di sentirsi toccare la spalla e di ascoltare una voce che gli chiedesse «senti, preside, ma quanti figli hai?». L'atmosfera a Lettere è inscandescente, dopo l'autorizzazione rilasciata il 14 maggio dal preside al convegno sulle foibe: gli scontri di via De Lollis martedì, i tre arresti domiciliari di due giovani di Forza Nuova e di uno studente dei Comitati, le manifestazioni dei Comitati a Lettere prima mercoledì e poi ieri mattina. Chiarisce Pescosolido: «Avevo scritto lunedì al prorettore vicario Luigi Frati.

Vista la situazione e i recenti episodi in città, avevamo deciso la sera stessa di ritirare il permesso». Comunque i Collettivi accusano Pescosolido di aver «sdoganato», dato via libera a Forza Nuova. Il preside assicura: «Nelle forme in cui mi era stata presentata, appariva la sigla Lotta universitaria, non Forza Nuova. E io non autorizzo tutto ma solo le iniziative che possono rientrare nei fini istituzionale della facoltà. E mi chiedo: chi è che decide se si può o non si può tenere un convegno? Io, da preside, devo mettere i paletti. Ma da privato cittadino liberaldemocratico penso sia un errore non ascoltare estremisti di destra, di sinistra, di centro». Tra i relatori appariva però il nome del segretario nazionale di Forza Nuova, Roberto Fiore. «Ho chiesto ad alcuni colleghi se lo conoscessero, la maggior parte non sapeva chi fosse, non è un nome ancora segnato sui libri di storia...».

Torniamo a giovedì, al pianterreno di Lettere. Alle 11 si forma il corteo dei Collettivi. Ma poco prima delle 13 più di un centinaio di manifestanti sale la famosa scalinata di Lettere, imbocca il corridoio di sinistra e si piazza davanti alla porta della presidenza. Lì dentro ci sono Pescosolido, il suo collega Vittorio Vidotto («ero andato a chiedergli come stesse, sotto accusa com'è») e due impiegate. Pescosolido ha in tasca il numero di un telefono cellulare: quello di un poliziotto che, dopo la prima manifestazione di mercoledì e le denunce del professore, aveva assicurato che in caso di pericolo gli agenti sarebbero intervenuti. In realtà gli agenti, tutti in borghese, sono già lì davanti alla facoltà, confusi tra i manifestanti. Passano venti minuti di grida al megafono, di minacce. Poi i calci alla porta.

Racconta Vidotto: «L'atmosfera era dura, tesa. paura? Una certa accelerazione del battito cardiaco c'è stata... se avessero sfondato la porta non so come sarebbe andata a finire». A quel punto Pescosolido chiama il numero di telefono. «Professore, siamo qui fuori. Vuole che chiamiamo rinforzi? ». Pescosolido chiede di non gettare benzina sul fuoco: desidera solo uscire per andare a a prendere la figlia a scuola. Il resto ricorda un blitz. Venti uomini aprono un varco tra i ma-nifestanti, spalancano la porta, conducono via prima le impiegate e Vidotto, infine il preside. Ma non gli fanno affrontare la scalinata dell'ingresso principale. Escono rapidamente dal retro del Museo dei Gessi, evitando il piazzale della Minerva. Ancora Vidotto, autore di molti libri su Roma: «Spero solo che questi episodi non si ripetano, che Pescosolido non diventi il bersaglio di una autentica campagna ostile, che non si assista a una escalation contro i docenti che la pensano diversamente dai Comitati.... Ma cosa sta accadendo in questa città? Vedo molti episodi. Sono davvero coincidenze temporali?» Chissà.

Paolo Conti
30 maggio 2008


Guarda la videointervista

giovedì 29 maggio 2008

Ignazio Jouer

martedì 27 maggio 2008

Dalla ragione al torto.



Commento a caldo il mio, giudizio su un evento non vissuto, appreso dalla stampa nazionale.


Sapienza, Collettivi e e Forza Nuova, feriti, arresti, una storia di ordinaria intolleranza.


La revoca di un convegno sulle Foibe è un fatto che dovrebbe far pensare, sopratutto quando il luogo prescelto è un'università. Episodio di intolleranza, culturale e politica, anche se potrebbe spaventare alcuni la possibilità che con la storia si possano veicolare messaggi ideologici. Ma sin qua niente di male, è la realtà dei fatti, non è la prima volta che si portano avanti iniziative culturali politicamente sensibili. Spaventoso innalzare barricate come lo si fece, poco tempo fa, con l'opposizione barbara alla visita di un uomo di stato, di un grande filosofo, di un'uomo di fede quale il Papa. Evitare il confronto diviene il leitmotiv di una storia fatta di intolleranze, portate avanti più con mentalità "anti-qualsivogliacosa" gettando la spugna quanto si tratta di esporre civilmente le proprie contrarietà, e pretendendo dall'altra mano megafoni, tamburi ricorrendo a occupazioni selvagge e intimidatorie.


Ma vi è un passaggio successivo, che riguarda la reazione. Ed è stata ai miei occhi una reazione più vergognosa, comprensibile, ma non tollerabile, nè difendibile (salvo che vi sia un ulteriore chiarimento dei fatti).Giustizia fatta con le mani? Non mi piace, troppo facile. Noi lo potremmo dire meglio di altri, Azione Universitaria, nel bene e nel male, ha sempre dimostrato come portare avanti, anche in condizioni ostili, campagne di ogni sorta senza scadere nella violenza, evitando di disonorare la causa che si porta avanti. Io per ora mi dissocio ufficiosamente.

lunedì 19 maggio 2008

venerdì 16 maggio 2008

IL CIRCOLO DI ARCADIA MONTELANICO HA IL PIACERE DI INVITARE TUTTI AL CONVEGNO SUL TEMA:

La Guerra Civile Italiana

“Gli anni di piombo”

Bande armate, armi da guerra, agguati con lo scopo di uccidere. Ormai la violenza non è più un “incidente”: è un modo di far politica. E i protagonisti sono, purtroppo, tutti giovanissimi.

SABATO 17 maggio 2008, alle ore 10,00 presso la sala “Garibaldi” in Montelanico (RM) si terrà un incontro con:

Luca Telese giornalista, scrittore e autore televisivo italiano. Suscita molto scalpore il suo libro Cuori Neri in cui Telese, formatosi professionalmente e culturalmente in ambienti di sinistra, ripercorre con minuzia di particolari l'assassinio di 21 giovani militanti di destra (principalmente del Fronte della Gioventù) durante gli anni di piombo.
Nicola Rao giornalista, scrittore e opinionista italiano. Per anni ha condotto ricerche sui fenomeno di terrorismo nazionale ed internazionale, pubblicando diversi libri.

giovedì 15 maggio 2008

Lezione di vita...e di giornalismo

Posto l'articolo di Giuseppe D'Avanzo, vicedirettore di Repubblica, in risposta ad una lettera di Travaglio su L'Unità.


Non so che cosa davvero pensassero dell'allievo gli eccellenti maestri di Marco Travaglio (però, che irriconoscenza trascurare le istruzioni del direttore de il Borghese). Il buon senso mi suggerisce, tuttavia, che almeno una volta Montanelli, Biagi, Rinaldi, forse addirittura Furio Colombo, gli abbiano raccomandato di maneggiare con cura il "vero" e il "falso": "qualifiche fluide e manipolabili" come insegna un altro maestro, Franco Cordero.

Di questo si parla, infatti, cari lettori - che siate o meno ammiratori di Travaglio; che siate entusiasti, incazzatissimi contro ogni rilievo che gli si può opporre o soltanto curiosi di capire.Che cos'è un "fatto", dunque? Un "fatto" ci indica sempre una verità? O l'apparente evidenza di un "fatto" ci deve rendere guardinghi, più prudenti perché può indurci in errore? Non è questo l'esercizio indispensabile del giornalismo che, "piantato nel mezzo delle libere istituzioni", le può corrompere o, al contrario, proteggere? Ancora oggi Travaglio ("Io racconto solo fatti") si confonde e confonde i suoi lettori. Sostenere: "Ancora a metà degli anni 90, Schifani fu ingaggiato dal Comune di Villabate, retto da uomini legato al boss Mandalà di lì a poco sciolto due volte per mafia" indica una traccia di lavoro e non una conclusione.Mandalà (come Travaglio sa) sarà accusato di mafia soltanto nel 1998 (dopo "la metà degli Anni Novanta", dunque) e soltanto "di lì a poco" (appunto) il comune di Villabate sarà sciolto. Se ne può ricavare un giudizio? Temo di no.

Certo, nasce un interrogativo che dovrebbe convincere Travaglio ad abbandonare, per qualche tempo, le piazze del Vaffanculo, il salotto di Annozero, i teatri plaudenti e andarsene in Sicilia ad approfondire il solco già aperto pazientemente dalle inchieste di Repubblica (Bellavia, Palazzolo) e l'Espresso (Giustolisi, Lillo) e che, al di là di quel che è stato raccontato, non hanno offerto nel tempo ulteriori novità.E' l'impegno che Travaglio trascura. Il nostro amico sceglie un comodo, stortissimo espediente. Si disinteressa del "vero" e del "falso". Afferra un "fatto" controverso (ne è consapevole, perché non è fesso). Con la complicità della potenza della tv - e dell'impotenza della Rai, di un inerme Fazio - lo getta in faccia agli spettatori lasciandosi dietro una secrezione velenosa che lascia credere: "Anche la seconda carica dello Stato è un mafioso...". Basta leggere i blog per rendersene conto. Anche se Travaglio non l'ha mai detta, quella frase, è l'opinione che voleva creare. Se non fosse un tartufo, lo ammetterebbe.Discutiamo di questo metodo, cari lettori. Del "metodo Travaglio" e delle "agenzie del risentimento". Di una pratica giornalistica che, con "fatti" ambigui e dubbi, manipola cinicamente il lettore/spettatore. Ne alimenta la collera. Ne distorce la giustificatissima rabbia per la malapolitica.

E' un paradigma professionale che, sulla spinta di motivazioni esclusivamente commerciali (non civiche, non professionali, non politiche), può distruggere chiunque abbia la sventura di essere scelto come target (gli obiettivi vengono scelti con cura tra i più esposti, a destra come a sinistra). Farò un esempio che renderà, forse, più chiaro quanto può essere letale questo metodo.8 agosto del 2002. Marco telefona a Pippo. Gli chiede di occuparsi dei "cuscini". Marco e Pippo sono in vacanza insieme, concludono per approssimazione gli investigatori di Palermo. Che, durante le indagini, trovano un'ambigua conferma di quella villeggiatura comune. Prova maligna perché intenzionale e non indipendente. Fonte, l'avvocato di Michele Aiello. Il legale dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo, Aiello ha pagato l'albergo a Marco. Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia.Michele Aiello, ingegnere, fortunato impresario della sanità siciliana, protetto dal governatore Totò Cuffaro (che, per averlo aiutato, beccherà 5 anni in primo grado), è stato condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Pippo è Giuseppe Ciuro, sottufficiale di polizia giudiziaria, condannato a 4 anni e 6 mesi per aver favorito Michele Aiello e aver rivelato segreti d'ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Marco è Marco Travaglio.Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all'integrità di Marco Travaglio un'ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice? Davvero qualcuno, tra i suoi fiduciosi lettori o tra i suoi antipatizzanti, può credere che Travaglio debba delle spiegazioni soltanto perché ha avuto la malasorte di farsi piacere un tipo (Giuseppe Ciuro) che soltanto dopo si scoprirà essere un infedele manutengolo?

Nessuno, che sia in buona fede, può farlo. Eppure un'"agenzia del risentimento" potrebbe metter su un pirotecnico spettacolino con poca spesa ricordando, per dire, che "la mafia ha la memoria lunghissima e spesso usa le amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso" . Basta dare per scontato il "fatto", che ci fosse davvero una consapevole amicizia mafiosa: proprio quel che deve essere dimostrato ragionevolmente da un attento lavoro di cronaca.Cari lettori, anche Travaglio può essere travolto dal "metodo Travaglio". Travaglio - temo - non ha alcun interesse a raccontarvelo (ecco la sua insincerità) e io penso (ripeto) che la sana, necessaria critica alla classe politico-istituzionale meriti onesto giornalismo e fiducia nel destino comune. Non un qualunquismo antipolitico alimentato, per interesse particolare, da un linciaggio continuo e irrefrenabile che può contaminare la credibilità di ogni istituzione e la rispettabilità di chiunque.

martedì 13 maggio 2008

Un'analisi


Dopo le ben note polemiche seguite alla trasmissione di Fabio Fazio, penso che ognuno di noi si sia interrogato circa la validità di alcune affermazioni. La telenovela Schifani-Travaglio è ciò che di più negletto potesse offrire il primo scorcio di Terza Repubblica. Da cui vengono fuori manchevolezze e vuoti del nostro ordinamento. Da questa triste vicenda, simbolo di un'Italia in ribasso, ritengo si possano assumere come veritiere due sole informazioni: la nostra è una videodemocrazia e i talk-show politici (o presunti tali) dovrebbero essere regolati in maniera precisa da apposite leggi.


Nel vocabolario e nella pratica della professione giornalistica, la parola "verità" ha un ruolo immanente. Al contempo fondativo e legato all'evoluzione della stessa professione. Del resto i fatti, gli accadimenti, narrati dalle pagine dei giornali o attraverso qualsiasi agenzia di informazione, nel momento in cui non rispondessero alla realtà, perderebbero ogni forma di credibilità, e si cadrebbe nel reato di diffamazione a mezzo stampa. Immaginiamo, quindi, un omicidio avvenuto in una tempestosa notte di settembre. La vittima, al di sopra di ogni sospetto, ha evidenti segni di colluttazione sul corpo ed è stesa sul letto della sua abitazione. C'è un reo confesso. Se ci fermassimo qui, pur rispettando la versione cronologica dei fatti, la storia è già scritta: "Ucciso notabile dello stato, il killer ha confessato". Se invece dalla confessione venisse fuori che la vittima aveva evidenti debiti di gioco con il suo carnefice, e lo aveva attirato nella sua tranquilla abitazione romana per ucciderlo a sua volta, evidentemente la storia avrebbe connotati differenti. Che fare in questa situazione? Aspettare le risposte della magistratura, attenendosi nella maniera più chiara possibile alla naturale evoluzione delle indagini. Ma soprattutto, visti anche i tristi esempi di tangentopoli, astenersi del dare giudizi definitivi a mezzo stampa (quindi anche in tv, radio e internet).

Ciò che è avvenuto negli studi di Fazio è oggettivamente diverso. C'è un'affermazione di senso di compiuto che è il nodo di tutta la vicenda. Una perfetta operazione di marketing, autorefernziale, tale da sponsorizzare il libro del giornalista. "Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi". E' qui che si gioca la partita. La spiegazione di questa informazione rimanda direttamente al volume dello stesso autore. Lasciando, però, da un lato la curiosità di andare a fondo e dall'altro una notizia apparentemente incontrovertibile. Il quadro ricostruito da Travaglio si arricchisce della presenza di Lirio Abbate, giornalista dell'Ansa, tristemente noto per essere stato colpito da minacce di morte da parte della mafia palermitana e costretto a vivere sotto scorta. Il disegno è chiaro, e nemmeno troppo velato: c'è chi la mafia la combatte, pagandone lo scotto, e chi invece vi è "amico", seduto in Parlamento, al Senato, sullo scranno più alto.

Facendo un veloce passo indietro, e senza sostituirmi al ruolo degli eminenti giuristi di Arcadia, c'è da dire che la professione giornalistica in Italia viene fatta risalire agli articoli 2 e 21 della nostra costituzione (art.2- diritti inviolabili dell'uomo, da cui diritto ad essere informato e di informare; art.21- diritto di espressione del pensiero) ed è regolata dalle leggi 47/1948 (legge sulla stampa) e dalla 69/1963 (che istituisce l'ordine). Al contempo, un vero ruolo guida se l'è guadagnato la Corte di Cassazione, sentenza 5259/1984, che ha messo i paletti per la corretta informazione; "quando concorrano le seguenti tre condizioni: 1) utilità sociale dell'informazione; 2) verità (oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest'ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti; 3) forma "civile" della esposizione dei fatti e della loro valutazione: cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l'offesa triviale o irridente i più umani sentimenti".

In più aggiunge che lo "lo sleale difetto di chiarezza sussiste quando il giornalista, al fine di sottrarsi alle responsabilità che comporterebbero univoche informazioni o critiche senza, peraltro, rinunciare a trasmetterle in qualche modo al lettore, ricorre - con particolare riferimento a quanto i giudici di merito hanno nella specie accertato - ad uno dei seguenti subdoli espedienti. [...] "b) agli accostamenti suggestionanti (conseguiti anche mediante la semplice sequenza in un testo di proposizioni autonome, non legate cioè da alcun esplicito vincolo sintattico) di fatti che si riferiscono alla persona che si vuol mettere in cattiva luce con altri fatti (presenti o passati, ma comunque sempre in qualche modo negativi per la reputazione) concernenti altre persone estranee ovvero con giudizi (anch'essi ovviamente sempre negativi) apparentemente espressi in forma generale ed astratta e come tali ineccepibili (come ad esempio, l'affermazione il furto è sempre da condannare) ma che, invece, per il contesto in cui sono inseriti, il lettore riferisce inevitabilmente a persone ben determinate;"

Rai, terra (anche) dei grilli parlanti e di silenzi assordanti.

lunedì 12 maggio 2008

La cronaca

giovedì 8 maggio 2008


SANTORO, VAURO E BORROMEO..LA PEGGIO GIOVENTU' SIETE VOI!


E' finito da poco il solito attesissimo talk show televisivo diretto da Santoro, ma al contrario delle passate trasmissioni, al termine delle quali mi limitavo al solito stanco sospiro di paziente compassione, questa volta non sono riuscito a fare a meno di confidare al nostro caro e fidato diario la stizza e la delusione che provo.

Questa sera la puntata era dedicata all'analisi del mondo giovanile alla luce del tragico episodio di Verona che ha turbato giustamente la coscienza dell'opinione pubblica di una città e del Paese intero. Un fatto che personalmente ho digerito con molta difficoltà. Ho provato un senso di profonda commozione e di grande dolore alla notizia del barbaro omicidio di un ragazzo per un motivo così banale, e ho riflettuto su come possa essere possibile per un gruppo di miei coetanei arrivare a commettere un gesto di così efferata violenza.

E' difficile però spiegare i motivi della mia rabbia senza rischiare di essere confuso per un subdolo difensore degli aggressori. Cercherò di essere il più chiaro possibile.

Alla trasmissione di Santoro si è cercato di dimostrare in tutti i modi che sebbene quella violenza non fosse stata in alcun modo ispirata ad un movente di carattere politico, tuttavia essa trovasse le sue origini più profonde proprio nell'appartenenza degli aggressori a qualche formazione riconducibile alla destra più estrema. Si è citata Forza Nuova, il Fronte Veneto Skin Head, Fiamma Tricolore, senza molta dovizia di particolari. Il discorso si è poi allargato a macchia d'olio. Da queste formazioni di estrema destra si è arrivati a parlare della galassia della destra giovanile in generale, senza fare distinzioni di alcun tipo, arrivando a tracciare un filo conduttore tra le frange più scalmanate di una destra senza cultura, fatta solo di simboli e manganelli, e la destra delle istituzioni locali (sindaco di Verona Tosi) e nazionali (Presidente della Camera Fini e compagnia bella). Si è lanciato il messaggio, in alcuni casi anche esplicitamente, che il motivo per cui la destra ha trionfato alle elezioni è che si era creato un sostrato culturale che aveva favorito tale risultato elettorale. Ma quando si cercava di capire quale potesse essere tale cultura delle destre si facevano vedere le interviste a un ultrà dell'Hellas Verona, che tra una bestemmia e l'altra, e col suo linguaggio sgrammaticato citava i soliti Mussolini e Hitler come grandi statisti del Novecento, e quattro ragazzi con capigliature molto compromettenti che ostentavano la loro tessera di Forza Nuova mentre spiegavano le loro affascinanti e molto originali teorie su come combattere l'immigrazione clandestina. A fianco a tutto questo vi erano i servizi che parlavano degli altri attori della peggio gioventù: gli sballati delle discoteche, i ragazzini che già a 16 anni si imbottiscono di droghe pesanti e i ragazzi che aspettavano il provino del Grande Fratello come la vera ed unica occasione della loro vita. Tutti accomunati da un comun denominatore: la totale assenza di maturità. Dall'altra parte della barricata in veste di compassionevoli maestri c'erano l'On. Titti de Simone di Rifondazione Comunista e la Borromeo che intervistava alcuni studenti di Verona e qualche esterno tra cui un riconoscibilissimo esponente dei centri sociali che non ha trovato niente di meglio da dire se non che ben 12 anni fa aveva subito un'aggressione da uno dei ragazzi che aveva ucciso il povero Nicola Tommasoli.

SI è fatta una gran confusione e ciò che è più grave è che non vi era una degna controparte. Era presente in studio Donna Assunta Almirante, col suo scarso carisma, e il Prof. Garimberti, che ha fregiato la trasmissione con delle interessanti riflessioni, purtroppo poco comprese dalla platea. Il disegno di Santoto era chiaro d'altronde. Bisognava screditare in tutti i modi la destra italiana e descriverla come un cumulo di arroganti squadristi.


La cosa che mi ha infastidito di più è stata la totale non curanza nell'informazione che è stata fatta. Si sarebbe dovuto dire quello che la realtà e la verità impongono di dire. L'equazione destra uguale Fscismo o nazismo è priva di alcun fondamento perchè vi è la gran parte della popolazione di destra di questo Paese che non ha bisogno di definirsi fascista o nazista per motivare la sua appartenenza politica. E non è tutto qui. Tra la destra estremista e la destra istituzionale esiste un panorama giovanile che si riconosce in una destra militante con una cultura ricchissima e piena di riferimenti storici e artistici, che affonda le sue radici molto più indietro del Fascismo e che è riuscita e sta riuscendo ad attualizzare alcuni dei suoi precetti originari nella realtà sociale ed economica di oggi. Una destra che ha una sua idea di Uomo e di Stato, i suoi simboli e i suoi eroi, i suoi miti e leggende, i suoi padri e i suoi figli. Una destra che ha un popolo che non ha bisogno di armi e che combatte da anni per conquistare i suoi spazi (e mi sembra che negli ultimi giorni ci sia riuscita alla grande!). Questa destra siamo noi e non ci siamo mai sporcati di sangue....semmai di colla durante le nostre affissioni notturne!!


Ciò che Santoro ha dimenticato di notare, a causa della sua cieca faziosità, è che gran parte di quella peggio gioventù di cui si è arrogato il diritto di parlare alla gente è quella che occupa i centri sociali di molte città italiane, dove in molti casi si predica l'intolleranza per chi è diverso da loro, per le forze dell'ordine, per i rappresentanti delle istituzioni, per chi come noi conduce una battaglia diversa dalla loro. Sono quelli che in molti casi non si sono fatti scupoli a compiere delle aggressioni molto violente ai danni di ragazzi innocenti. Un'informazione più accurata e responsabile avrebbe voluto che il conduttore desse un'immagine più veritiera dei fermenti politici vissuti dai giovani operando delle dovute distinzioni quantomeno nel rispetto di coloro che,come noi di Azione Giovani,vivono la politica da tanti anni con passione, dedizione e anche con discreti risultati. Ma l'idea che ho avuto della trasmissione è che si trattava di una autentica vendetta da consumare a causa della sconfitta buciante alle elezioni di cui forse non si sono ancora fatti una ragione.


In studio era presente anche la mamma di Renato Biagetti, altro ragazzo ucciso a coltellate da un'aggressione due anni fa sul litorale romano. Anche lei testimone di un episodio tristissimo e da condannare senza riserve. Ma purtroppo anche lei si è prestata ad un gioco che forse non ha nobilitato la memoria di suo figlio. Ha voluto, al termine della trasmissione, rinnovare il suo J'accuse non contro gli aggressori di suo figlio, ma contro tutte le forze riconducibili al fascismo, quindi tutte le destre di cui si era parlato fino a quel momento.

Al termine della puntata le vignette di Vauro hanno completato l'opera. Tra uno schizzo e l'altro non si è risparmiata una battuta relativa alla croce celtica che Alemanno indossa al collo. Dopo che per tutto il corso della trasmissione si era accostata la celtica ai teppisti con le teste rasate il messaggio è arrivato più chiaro che mai.

Mi sono sentito allo stesso tempo offeso e impotente di fronte allo schermo. Dispiace pensare che tale emozione sia stata generata da una rete del servizio pubblico.

mercoledì 7 maggio 2008

E’ difficile essere critici ed obiettivi davanti ad una vittoria. A maggior ragione, quindi, se le vittorie sono due e di tali proporzioni.
E allora partiamo con un sorriso. Guardare il nostro sardo sulle pagine del Corriere della Sera, penso abbia riempito il cuore a tutti. L’editor di via Solferino non si è fatto sfuggire gli occhi spensierati di Marco e della sua beneamata: è l’immagine della politica trasparente. Altro che Visco. Gli sguardi ubriachi di gioia, una fotografia che nella sua bidimensionalità dà l’idea di movimento (carta vincente per il neo sindaco), il feeling evidente tra i due protagonisti che non si guardano e contemporaneamente sono intenti nello stesso gesto: c’è la metafora dell’amore verso qualcosa, verso qualcuno. Parafrando Alemanno, “Amore per Roma”.
Le note dolenti. L’ennesima vicenda legata al viceministro Visco è nauseante. La diffusione su internet dei redditi 2005, mischia contemporaneamente il dilettantismo alla prepotenza. Punto primo: qualsiasi individuo che abbia avuto a che fare con il web ha inteso da subito che la rete non concede il diritto all’oblio. Al contrario esplicitato e garantito dalla legislazione in materia, a decorrere dalla scadenza dell’anno dalla pubblicazione. In secondo luogo non si capisce bene perché a breve distanza dalle elezioni politiche, a pochi giorni dall’entrata in carica del nuovo governo, il viceministro abbia sentito la necessità di un simil gesto. Sono tra quelli che pensa ad una vendetta. Non mi convince l'idea della pericolosità a fini estorsivi di queste informazioni, anche se ci sono valide ragioni per sostenerla. E' impensabile, però, che dati di questa natura, strettamente privata, possano essere resi pubblici per la sola volontà di una persona. Non è in questo modo che si combatte l'evasione fiscale. Anzi, si è esclusivamente fatta crescere la cultura del sospetto e del giustizialismo più infimo. Per di più, ieri, è arrivata la sentenza del Garante che ha giudicato “illegittima” l’azione dell’Agenzia delle Entrate. Ribadisco, penso alla vendetta, ad una manovra politica tale da acuire il contrasto sociale. Perseguire la trasparenza è una virtù, la trasparenza militarizzata un atto di irresponsabilità.



Facciamo un passo indietro. Sul 13 e 14 aprile sono state spese parole importanti. A mio modo di vedere è ancora prematuro dare giudizi limpidi sul PdL. Troppi interrogativi senza risposta sul futuro, sul percorso, sull’identità, sui circoli. Per il momento l’idea del partito unico di centrodestra si è rivelata una strategia geniale ai fini del risultato elettorale. Il governo appena presentato vede in campo tutti gli "assi" (o presunti tali) del mazzo. Lasciano ampi margini di speranza alcune nomine, ma rimane comunque difficile trastullarsi sulle poltrone quando un'intera Nazione reclama attenzioni e contromisure. I primi "cento giorni" saranno decisivi tanto per Roma quanto per il governo. Ripartire subito. Da Napoli e dai campi rom. Risposte e soluzioni. Perchè ci sono le prerogative per costruire più di un ciclo di governo, e convincere chi ha scelto di non assecondarci la sua fiducia.


Non mi allontano, però, dalle certezze dell’urna. Sinistra Arcobaleno, forza extraparlamentare. E’ stato abbattuto il muro dell’ideologia becera e ottusa. La condanna della candidatura di Colaninno non ha fatto breccia nel popolo sinistroide, così come la paura di un ritorno di Berlusconi. Gli italiani hanno deciso di scegliere i contenuti e l’azione politica. Questa è una chiave di volta. E’ stato dato un segno di vitalità a dispetto delle statistiche e delle classifiche più disparate che ci vedono sempre più spesso agli ultimi posti. C’è voglia di riaccendere il motore della produttività. L’esempio più nitido a questa affermazione l’hanno dato gli elettori di sinistra. Bocciando la Sinistra Arcobaleno, si è scelta la libertà (anche a sinistra, ohibò) dai ricatti, dagli ultimatum, dai dicktat.


Esiste un pericolo piazza? Forse. Tuttavia anche la campagna paranoica e antistorica sull’ipotetico sindaco fascista (Alemanno) ha garantito pessimi risultati. Io, forte sostenitore della privatizzazione dell’opinione pubblica, devo ammettere di essere rimasto sorpreso. Ampi strati della società han compreso la superficialità di certe informazioni, di slogan vecchi, di polemiche sterili e sorpassate.

Parlando di sconfitti non si può evitare un passaggio sul PD. Quell'idea di novità, da alcuni avveduti additato come nuovismo, è stata sonoramente bocciata. Tanto che nell'immediato post elezioni si è riniziato a discutere di oligarchia, gerarchie, dimissioni, subentri. Secondo alcuni la politica è il paradiso delle bugie. A volte però i 'sorbugia' vengono sbugiardati, dai primi sostenitori. E non è un bel vedere.

Il voto italiano si è dimostrato, come mai prima, fluttuante. Sona stati premiati i grandi partiti. E' stato scelto il voto utile. Polarizzazione delle persone, cannibalizzazione delle ideologie. C'è voglia di benessere e di sicurezza. A casa e sul lavoro. In vacanza, in macchina, nel tempo libero. Nessuno ha la bacchetta magica. Ma ci sono ragioni valide per essere ottimisti.

Per Roma

lunedì 28 aprile 2008

L’antipolitica di Beppe, business da 4 milioni


Ragazzi leggete e rabbrividite, ecco chi è il signor Beppe Grillo. Idolo di molti giovani beoni, che credono di aver trovato salvezza in quest'uomo. Credo che la creatura che egli ha tanto amato (ndr Internet) ora gli si ritorcerà contro.
Leggete e diffondete.

Articolo Tratto dal Giornale.it del 27/04/08 a cura di Filippo Facci


Giuseppe Piero Grillo non ha solo fruito due volte di un condono fiscale tombale, ma anche di un condono edilizio nella sua villa di Sant’Ilario. Come visto, poi, la pretesa di impedire la candidatura di chi abbia avuto delle condanne penali in giudicato (regola che non esiste in nessun Paese del mondo) precluderebbe ogni candidatura di Beppe Grillo medesimo, che è pregiudicato per omicidio colposo plurimo. A questa condanna, raccontata nella puntata di ieri, va aggiunto un patteggiamento per aver definito Rita Levi Montalcini «vecchia p…» in un suo spettacolo del 2001: dovette pagare 8400 euro e la causa civile è ancora in corso, anche perché Grillo sostenne che la scienziata ottenne il Nobel grazie a un’azienda farmaceutica. A proposito dei referendum promossi dalle piazze grillesche, invece, vediamo che anche il promotore Antonio Di Pietro invoca che un parlamentare non resti tale per più di due mandati: ma non ha detto che lui, di mandati, ne ha già collezionati cinque, per un totale di anni 11. Anche Marco Travaglio, venerdì, ha tuonato contro i finanziamenti pubblici all’editoria: ma non ha detto che il suo giornale, l’Unità, percepisce più contributi di tutti, e non «come tutti i giornali italiani» (parole sue, rivolte alla folla beona del V-day), bensì nella modalità assai più danarosa riservata alla stampa politica; dalla Rai all’Unità, insomma, Travaglio è pagato coi soldi dei contribuenti. Per chiudere con la manifestazione di venerdì: Piazza San Carlo è grande 168 per 76 metri, dunque 12.768 metri quadri che moltiplicati per 3 (tre persone ogni metro, e sono già tante) dà 38.304 persone totali, non 120mila come dal blog di Grillo: «Eravamo in 120.000. Chi era presente lo sa e anche chi può informarsi in Rete».Il Grillo censoreGrillo non a caso riconosce solo la rete, per quanto la cosa, nel tempo, si sia configurata come un’ossessiva paura del confronto. Interviste non ne rilascia, ed è nota l’esperienza del giornalista Sandro Gilioli: nel gennaio scorso si mise d’accordo col comico per un’intervista di quattro pagine, ma poi si vide respingere le domande perché definite «offensive e indegne»: tuttavia, una volta rese pubbliche, si sono rivelate del tutto ordinarie.
Poi c’è il capitolo libri: Grillo, semplicemente, è solito bloccare qualsiasi volume che lo riguardi. Nel 2003 fece diffidare e bloccare «Grillo da ridere» di Kaos edizioni, biografia a lui favorevole: la scusa fu che conteneva un’eccedenza di testi dei suoi spettacoli. Nel 2007 invece ha diffidato e bloccato «Chi ha paura di Beppe Grillo?» di Emilio Targia, Edoardo Fleischner e Federica De Maria, scritto per Longanesi: tre studiosi che hanno seguito Grillo per anni; aggiornato due volte, Longanesi infine ha lasciato perdere per non avere grane. Il libro, dopo che per analoghi motivi era stato rifiutato da ben 23 editori, è uscito infine per Selene edizioni giusto in questi giorni. La biografia «Beppe Grillo» uscita infine per Aliberti, e scritta da Paolo Crecchi e Giorgio Rinaldi, è nelle librerie dal novembre scorso nonostante le minacce fatte recapitare da Grillo, ai due autori, a mezzo del giornalista della Stampa Ferruccio Sansa, figlio del suo dirimpettaio Adriano. Tutte le cause, infine, per risparmiare, sono promosse dallo studio legale del figlio di suo fratello Andrea. Va anche detto che l’atteggiamento di Grillo, casta di se stesso, probabilmente non è solo ascrivibile alla preservazione di un culto della propria personalità: semplicemente, vuole essere l’unico a guadagnare col proprio nome.Il blog che non lo è Sotto questo profilo, la definizione corretta del suo celebre blog, aperto il 26 gennaio 2006, è «sito commerciale»: come tale è infatti classificato. I numeri parlano chiaro: un anno prima del blog, nel 2004, Grillo ha fatturato 2.133.720 euro; nel 2006, due anni dopo, ne ha fatturati 4.272.591. La politica del Vaffanculo sta rendendo bene. Nel citato «Chi ha paura di Beppe Grillo», i tre autori hanno monitorato il sito per tre anni osservando come Grillo, spesso con la scusa della battaglia per la democrazia e il finanziamento dei V-day, venda ogni genere di gadget: video del V-day, dvd dello spettacolo Reset, libro «Tutte le battaglie di Grillo», eccetera. Anche i circolini politici rendono: chi vuole aprire un fan club deve pagare 19 dollari per un mese (dollari, perché la piattaforma è negli Usa) che sono scontati a 72 per chi prenota un semestre. Per ora i circoli sono poco più di 500, ed è già un bel rendere.Il moralista
Solo alla rete e a Grillo, dunque, dovremmo affidare le verità su Grillo. Tipo questa: «Ho avuto una Ferrari, ma l’ho venduta». Fine. Salvo scoprire, certo non sulla rete, che di Ferrari ne ha avute due, più Porsche, Maserati, Chevrolet Blazer, eccetera. Oppure, sempre parole sue: «Ho due case, una a Genova e una in Toscana». Fine. Salvo scoprire, certo non sulla rete, che una in effetti è a Bibbona, Livorno, 380 metri quadri e 5.600 metri quadri di terreno; ma risulta intestato a lui anche l’appartamento di Rimini dove stava con l’ex moglie, senza contare che la Gestimar, la sua società immobiliare gestita dal fratello, possiede i tre appartamenti a Marinelledda, una villa a Porto Cervo, due locali più garage a Genova Nervi e infine un esercizio commerciale a Caselle, oltreché un garage in Val d’Aosta. Oppure, ancora: «Ho avuto la barca, ma l’ho venduta». Salvo scoprire, certo non sulla rete, che di barche ne avute diverse; una forse l’avrà anche venduta, ma il panfilo «Jao II» di 12 metri, in realtà, risulta affondato alla Maddalena il 5 agosto 1997. C’erano a bordo anche Corrado Tedeschi (che oggi odia Grillo pubblicamente) con la sua compagna Corinne. La barca finì su una secca peraltro segnalatissima, e fu salvato dalla barca dei Rusconi, gli editori. Grillo fu indagato per naufragio colposo, procedimento archiviato. Un’altra volta, il 29 maggio 2001, riuscì nell’impresa si insabbiare un gommone nel profondissimo mar Ligure, alla foce del Magra: con lui c’era Gino Paoli, fu una giornata senza fine. Del condono tombale chiesto e ottenuto per due anni e per due volte dalla citata Gestimar, dal 1997 al 2002, diamo conto velocemente. Fu certo lecito, ma non obbligatorio. Il problema è che era esattamente il genere di condono contro il quale Grillo si era scagliato più volte, e in particolare con una lettera indirizzata al direttore di Repubblica risalente al giugno 2004. Se vorrà ne riparlerà Grillo medesimo, tra un vaffanculo e l’altro.Il nuovo Coluche Difficile scacciare l’idea che Grillo non sogni di potersi ispirare un giorno a Michel Coluche, l’attore e comico francese che peraltro ebbe l’onore di conoscere sul set del film «Scemo di guerra» di Dino Risi: «Beppe si ingelosì molto del rapporto speciale che avevo con Michel», ha detto il regista. Coluche, idolo del box office transalpino, dai suoi spettacoli metteva alla gogna i politici e un bel giorno annunciò la candidatura all’Eliseo. Si ritirò solo all’ultimo, ma i sondaggi parevano garantirgli una messe incredibile di voti. Forse qualcuno avrebbe potuto già insospettirsi dall’esordio cinematografico di Grillo: «Cercasi Gesù», dove appunto interpretava un Cristo moderno anticipando la sindrome «Joan Lui» dell’altro aspirante santone, Adriano Celentano. Anche la discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994, e relativo successo, deve averlo alquanto impressionato. Come rilevato da Libero il 3 ottobre scorso, Grillo mise il suo primo bollino elettorale proprio su Berlusconi: «Sono da mandare via, da mandare via questa gente qua, da votare gli imprenditori, ecco perché sono contento che è venuto fuori Berlusconi: lo voglio andare a votare». E qui siamo appunto nel 1994. Nella primavera successiva, vediamo, Grillo modificò il suo giudizio e lo spruzzò di venature appena megalomani: «Candidarmi sarebbe un gioco da ragazzi, prenderei il triplo del Berlusca» disse a Curzio Maltese su Repubblica. «Mi presento in tv e dico: datemi il vostro voto che ci divertiamo, sistemo due o tre cose. Un plebiscito». Poi, nel 2003, la svolta: «Per arrivare a Berlusconi dobbiamo essere diventati parecchio stupidi». Già covava. Ma una vera discesa in campo, Giuseppe Piero Grillo, non l’ha ancora fatta. Deve ancora discuterne col commercialista.