sabato 31 maggio 2008

ALL'ARMI SIAM COLLETTIVI!!!!!!!!

E' paradossale. Estremisti di sinistra che sembrano rievocare gli "antichi albori" delle squadre del Fascio, ma che credono di agire proprio per cancellare gli strascichi di quel modus operandi. Niente di più immaturo ed inappropriato. Gli atteggiamenti assunti dai membri dei collettivi nei confronti del Preside della Facoltà di Lettere manifestano una cattiva educazione basata sulla vera intolleranza. Sono d'accordo con Paolo quando dice che sarebbe giusto che l'istituzione universitaria ponesse una linea guida nell'attivismo culturale degli studenti, senza alcun accorgimento politico-ideologico, ma nel momento in cui un evento dovesse essere accettato trovo inammissibile che entrino in scena i "guardiani del sapere"( di quale sapere..?..) a fare un'ulteriore selezione tra ciò che è giusto ascoltare e ciò che non lo è.
La Facoltà non è di questi fenomeni da baraccone, il sapere non è loro, ma appartiene a tutti noi e dobbiamo saperlo difendere con le unghie e con i denti. I veri sconfitti di questa vicenda sono proprio i collettivi e tutti coloro che li difendono, sono queste persone che hanno un'identità talmente debole che riescono a farsi utilizzare dal primo stratega della politica che gli dica, per i suoi fini elettorali, di agire in questo modo per mettere in evidenza questo presunto "vento di destra" che si abbatte sul Paese. Non si accorgono che diventano sempre più delle pedine del sistema che dicono di voler combattere!

Aprirsi al dialogo e al confronto, sforzarsi, per quanto difficile questo possa essere, di ascoltare un avversario e accettare che questi possa non condividere ciò che diciamo è la lezione che abbiamo imparato dalla stagione dell'odio, grazie anche ai buoni esempi come quel Giorgio Almirante su cui tante malignità sono state dette.

venerdì 30 maggio 2008

Parla il Preside della Facoltà di Lettere


Tratto dal "Corriere della Sera"


Sapienza, preside minacciato
e sequestrato dai collettivi
L'intervento della polizia. Pescosolido: «Temo per i miei figli»


ROMA — «Ci hanno di fatto sequestrato per almeno venti minuti. Lì fuori erano più di un centinaio, tutti dei Collettivi di sinistra. Non potevamo uscire. Poi hanno cercato di sfondare la porta prendendola a calci. Gridavano: "Dimettiti o ti mandiamo via noi", "Non ti faremo più insegnare", "Non potrai più mettere piede qui"». La voce di Guido Pescosolido, docente di Storia moderna e da sette anni preside della facoltà di Lettere all'università romana de «La Sapienza», non tradisce emozioni: «Sa, in sette anni di presidenza ho fatto il callo un po' a tutto. Ma questo episodio è oggettivamente gravissimo. Non mi è mai capitato di essere assediato in presidenza, con due segretarie e il collega Vittorio Vidotto, e di dover uscire scortato da venti poliziotti in borghese... »

Cosa farà, ora, professore? «La situazione sta diventando insostenibile. Sto valutando il da farsi con la mia famiglia». Ovvero, pensa davvero alle dimissioni? «Non escludo alcuna decisione nei prossimi giorni. Anche perché temo per la libertà di insegnamento e la stessa vita democratica della facoltà. Alcuni colleghi, per esempio Lucetta Scaraffia, mi hanno segnalato casi in cui gruppi dei Comitati hanno tentato di far sospendere le lezioni o di imporre una discussione su fascismo e antifascismo. Se si comincia con questi metodi, mi pare obbligatorio aprire una riflessione approfondita e molto seria su quanto sta accadendo alla facoltà di Lettere».

In sette anni Pescosolido insomma ha «fatto il callo». Ma un sequestro, no: non l'aveva mai visto né vissuto. Così come non gli era mai capitato (il fatto risale a mercoledì mattina, quando era stata organizzata una prima manifestazione anti-Pescosolido davanti alla presidenza della facoltà) di sentirsi toccare la spalla e di ascoltare una voce che gli chiedesse «senti, preside, ma quanti figli hai?». L'atmosfera a Lettere è inscandescente, dopo l'autorizzazione rilasciata il 14 maggio dal preside al convegno sulle foibe: gli scontri di via De Lollis martedì, i tre arresti domiciliari di due giovani di Forza Nuova e di uno studente dei Comitati, le manifestazioni dei Comitati a Lettere prima mercoledì e poi ieri mattina. Chiarisce Pescosolido: «Avevo scritto lunedì al prorettore vicario Luigi Frati.

Vista la situazione e i recenti episodi in città, avevamo deciso la sera stessa di ritirare il permesso». Comunque i Collettivi accusano Pescosolido di aver «sdoganato», dato via libera a Forza Nuova. Il preside assicura: «Nelle forme in cui mi era stata presentata, appariva la sigla Lotta universitaria, non Forza Nuova. E io non autorizzo tutto ma solo le iniziative che possono rientrare nei fini istituzionale della facoltà. E mi chiedo: chi è che decide se si può o non si può tenere un convegno? Io, da preside, devo mettere i paletti. Ma da privato cittadino liberaldemocratico penso sia un errore non ascoltare estremisti di destra, di sinistra, di centro». Tra i relatori appariva però il nome del segretario nazionale di Forza Nuova, Roberto Fiore. «Ho chiesto ad alcuni colleghi se lo conoscessero, la maggior parte non sapeva chi fosse, non è un nome ancora segnato sui libri di storia...».

Torniamo a giovedì, al pianterreno di Lettere. Alle 11 si forma il corteo dei Collettivi. Ma poco prima delle 13 più di un centinaio di manifestanti sale la famosa scalinata di Lettere, imbocca il corridoio di sinistra e si piazza davanti alla porta della presidenza. Lì dentro ci sono Pescosolido, il suo collega Vittorio Vidotto («ero andato a chiedergli come stesse, sotto accusa com'è») e due impiegate. Pescosolido ha in tasca il numero di un telefono cellulare: quello di un poliziotto che, dopo la prima manifestazione di mercoledì e le denunce del professore, aveva assicurato che in caso di pericolo gli agenti sarebbero intervenuti. In realtà gli agenti, tutti in borghese, sono già lì davanti alla facoltà, confusi tra i manifestanti. Passano venti minuti di grida al megafono, di minacce. Poi i calci alla porta.

Racconta Vidotto: «L'atmosfera era dura, tesa. paura? Una certa accelerazione del battito cardiaco c'è stata... se avessero sfondato la porta non so come sarebbe andata a finire». A quel punto Pescosolido chiama il numero di telefono. «Professore, siamo qui fuori. Vuole che chiamiamo rinforzi? ». Pescosolido chiede di non gettare benzina sul fuoco: desidera solo uscire per andare a a prendere la figlia a scuola. Il resto ricorda un blitz. Venti uomini aprono un varco tra i ma-nifestanti, spalancano la porta, conducono via prima le impiegate e Vidotto, infine il preside. Ma non gli fanno affrontare la scalinata dell'ingresso principale. Escono rapidamente dal retro del Museo dei Gessi, evitando il piazzale della Minerva. Ancora Vidotto, autore di molti libri su Roma: «Spero solo che questi episodi non si ripetano, che Pescosolido non diventi il bersaglio di una autentica campagna ostile, che non si assista a una escalation contro i docenti che la pensano diversamente dai Comitati.... Ma cosa sta accadendo in questa città? Vedo molti episodi. Sono davvero coincidenze temporali?» Chissà.

Paolo Conti
30 maggio 2008


Guarda la videointervista

giovedì 29 maggio 2008

Ignazio Jouer

martedì 27 maggio 2008

Dalla ragione al torto.



Commento a caldo il mio, giudizio su un evento non vissuto, appreso dalla stampa nazionale.


Sapienza, Collettivi e e Forza Nuova, feriti, arresti, una storia di ordinaria intolleranza.


La revoca di un convegno sulle Foibe è un fatto che dovrebbe far pensare, sopratutto quando il luogo prescelto è un'università. Episodio di intolleranza, culturale e politica, anche se potrebbe spaventare alcuni la possibilità che con la storia si possano veicolare messaggi ideologici. Ma sin qua niente di male, è la realtà dei fatti, non è la prima volta che si portano avanti iniziative culturali politicamente sensibili. Spaventoso innalzare barricate come lo si fece, poco tempo fa, con l'opposizione barbara alla visita di un uomo di stato, di un grande filosofo, di un'uomo di fede quale il Papa. Evitare il confronto diviene il leitmotiv di una storia fatta di intolleranze, portate avanti più con mentalità "anti-qualsivogliacosa" gettando la spugna quanto si tratta di esporre civilmente le proprie contrarietà, e pretendendo dall'altra mano megafoni, tamburi ricorrendo a occupazioni selvagge e intimidatorie.


Ma vi è un passaggio successivo, che riguarda la reazione. Ed è stata ai miei occhi una reazione più vergognosa, comprensibile, ma non tollerabile, nè difendibile (salvo che vi sia un ulteriore chiarimento dei fatti).Giustizia fatta con le mani? Non mi piace, troppo facile. Noi lo potremmo dire meglio di altri, Azione Universitaria, nel bene e nel male, ha sempre dimostrato come portare avanti, anche in condizioni ostili, campagne di ogni sorta senza scadere nella violenza, evitando di disonorare la causa che si porta avanti. Io per ora mi dissocio ufficiosamente.

lunedì 19 maggio 2008

venerdì 16 maggio 2008

IL CIRCOLO DI ARCADIA MONTELANICO HA IL PIACERE DI INVITARE TUTTI AL CONVEGNO SUL TEMA:

La Guerra Civile Italiana

“Gli anni di piombo”

Bande armate, armi da guerra, agguati con lo scopo di uccidere. Ormai la violenza non è più un “incidente”: è un modo di far politica. E i protagonisti sono, purtroppo, tutti giovanissimi.

SABATO 17 maggio 2008, alle ore 10,00 presso la sala “Garibaldi” in Montelanico (RM) si terrà un incontro con:

Luca Telese giornalista, scrittore e autore televisivo italiano. Suscita molto scalpore il suo libro Cuori Neri in cui Telese, formatosi professionalmente e culturalmente in ambienti di sinistra, ripercorre con minuzia di particolari l'assassinio di 21 giovani militanti di destra (principalmente del Fronte della Gioventù) durante gli anni di piombo.
Nicola Rao giornalista, scrittore e opinionista italiano. Per anni ha condotto ricerche sui fenomeno di terrorismo nazionale ed internazionale, pubblicando diversi libri.

giovedì 15 maggio 2008

Lezione di vita...e di giornalismo

Posto l'articolo di Giuseppe D'Avanzo, vicedirettore di Repubblica, in risposta ad una lettera di Travaglio su L'Unità.


Non so che cosa davvero pensassero dell'allievo gli eccellenti maestri di Marco Travaglio (però, che irriconoscenza trascurare le istruzioni del direttore de il Borghese). Il buon senso mi suggerisce, tuttavia, che almeno una volta Montanelli, Biagi, Rinaldi, forse addirittura Furio Colombo, gli abbiano raccomandato di maneggiare con cura il "vero" e il "falso": "qualifiche fluide e manipolabili" come insegna un altro maestro, Franco Cordero.

Di questo si parla, infatti, cari lettori - che siate o meno ammiratori di Travaglio; che siate entusiasti, incazzatissimi contro ogni rilievo che gli si può opporre o soltanto curiosi di capire.Che cos'è un "fatto", dunque? Un "fatto" ci indica sempre una verità? O l'apparente evidenza di un "fatto" ci deve rendere guardinghi, più prudenti perché può indurci in errore? Non è questo l'esercizio indispensabile del giornalismo che, "piantato nel mezzo delle libere istituzioni", le può corrompere o, al contrario, proteggere? Ancora oggi Travaglio ("Io racconto solo fatti") si confonde e confonde i suoi lettori. Sostenere: "Ancora a metà degli anni 90, Schifani fu ingaggiato dal Comune di Villabate, retto da uomini legato al boss Mandalà di lì a poco sciolto due volte per mafia" indica una traccia di lavoro e non una conclusione.Mandalà (come Travaglio sa) sarà accusato di mafia soltanto nel 1998 (dopo "la metà degli Anni Novanta", dunque) e soltanto "di lì a poco" (appunto) il comune di Villabate sarà sciolto. Se ne può ricavare un giudizio? Temo di no.

Certo, nasce un interrogativo che dovrebbe convincere Travaglio ad abbandonare, per qualche tempo, le piazze del Vaffanculo, il salotto di Annozero, i teatri plaudenti e andarsene in Sicilia ad approfondire il solco già aperto pazientemente dalle inchieste di Repubblica (Bellavia, Palazzolo) e l'Espresso (Giustolisi, Lillo) e che, al di là di quel che è stato raccontato, non hanno offerto nel tempo ulteriori novità.E' l'impegno che Travaglio trascura. Il nostro amico sceglie un comodo, stortissimo espediente. Si disinteressa del "vero" e del "falso". Afferra un "fatto" controverso (ne è consapevole, perché non è fesso). Con la complicità della potenza della tv - e dell'impotenza della Rai, di un inerme Fazio - lo getta in faccia agli spettatori lasciandosi dietro una secrezione velenosa che lascia credere: "Anche la seconda carica dello Stato è un mafioso...". Basta leggere i blog per rendersene conto. Anche se Travaglio non l'ha mai detta, quella frase, è l'opinione che voleva creare. Se non fosse un tartufo, lo ammetterebbe.Discutiamo di questo metodo, cari lettori. Del "metodo Travaglio" e delle "agenzie del risentimento". Di una pratica giornalistica che, con "fatti" ambigui e dubbi, manipola cinicamente il lettore/spettatore. Ne alimenta la collera. Ne distorce la giustificatissima rabbia per la malapolitica.

E' un paradigma professionale che, sulla spinta di motivazioni esclusivamente commerciali (non civiche, non professionali, non politiche), può distruggere chiunque abbia la sventura di essere scelto come target (gli obiettivi vengono scelti con cura tra i più esposti, a destra come a sinistra). Farò un esempio che renderà, forse, più chiaro quanto può essere letale questo metodo.8 agosto del 2002. Marco telefona a Pippo. Gli chiede di occuparsi dei "cuscini". Marco e Pippo sono in vacanza insieme, concludono per approssimazione gli investigatori di Palermo. Che, durante le indagini, trovano un'ambigua conferma di quella villeggiatura comune. Prova maligna perché intenzionale e non indipendente. Fonte, l'avvocato di Michele Aiello. Il legale dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo, Aiello ha pagato l'albergo a Marco. Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia.Michele Aiello, ingegnere, fortunato impresario della sanità siciliana, protetto dal governatore Totò Cuffaro (che, per averlo aiutato, beccherà 5 anni in primo grado), è stato condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Pippo è Giuseppe Ciuro, sottufficiale di polizia giudiziaria, condannato a 4 anni e 6 mesi per aver favorito Michele Aiello e aver rivelato segreti d'ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Marco è Marco Travaglio.Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all'integrità di Marco Travaglio un'ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice? Davvero qualcuno, tra i suoi fiduciosi lettori o tra i suoi antipatizzanti, può credere che Travaglio debba delle spiegazioni soltanto perché ha avuto la malasorte di farsi piacere un tipo (Giuseppe Ciuro) che soltanto dopo si scoprirà essere un infedele manutengolo?

Nessuno, che sia in buona fede, può farlo. Eppure un'"agenzia del risentimento" potrebbe metter su un pirotecnico spettacolino con poca spesa ricordando, per dire, che "la mafia ha la memoria lunghissima e spesso usa le amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso" . Basta dare per scontato il "fatto", che ci fosse davvero una consapevole amicizia mafiosa: proprio quel che deve essere dimostrato ragionevolmente da un attento lavoro di cronaca.Cari lettori, anche Travaglio può essere travolto dal "metodo Travaglio". Travaglio - temo - non ha alcun interesse a raccontarvelo (ecco la sua insincerità) e io penso (ripeto) che la sana, necessaria critica alla classe politico-istituzionale meriti onesto giornalismo e fiducia nel destino comune. Non un qualunquismo antipolitico alimentato, per interesse particolare, da un linciaggio continuo e irrefrenabile che può contaminare la credibilità di ogni istituzione e la rispettabilità di chiunque.

martedì 13 maggio 2008

Un'analisi


Dopo le ben note polemiche seguite alla trasmissione di Fabio Fazio, penso che ognuno di noi si sia interrogato circa la validità di alcune affermazioni. La telenovela Schifani-Travaglio è ciò che di più negletto potesse offrire il primo scorcio di Terza Repubblica. Da cui vengono fuori manchevolezze e vuoti del nostro ordinamento. Da questa triste vicenda, simbolo di un'Italia in ribasso, ritengo si possano assumere come veritiere due sole informazioni: la nostra è una videodemocrazia e i talk-show politici (o presunti tali) dovrebbero essere regolati in maniera precisa da apposite leggi.


Nel vocabolario e nella pratica della professione giornalistica, la parola "verità" ha un ruolo immanente. Al contempo fondativo e legato all'evoluzione della stessa professione. Del resto i fatti, gli accadimenti, narrati dalle pagine dei giornali o attraverso qualsiasi agenzia di informazione, nel momento in cui non rispondessero alla realtà, perderebbero ogni forma di credibilità, e si cadrebbe nel reato di diffamazione a mezzo stampa. Immaginiamo, quindi, un omicidio avvenuto in una tempestosa notte di settembre. La vittima, al di sopra di ogni sospetto, ha evidenti segni di colluttazione sul corpo ed è stesa sul letto della sua abitazione. C'è un reo confesso. Se ci fermassimo qui, pur rispettando la versione cronologica dei fatti, la storia è già scritta: "Ucciso notabile dello stato, il killer ha confessato". Se invece dalla confessione venisse fuori che la vittima aveva evidenti debiti di gioco con il suo carnefice, e lo aveva attirato nella sua tranquilla abitazione romana per ucciderlo a sua volta, evidentemente la storia avrebbe connotati differenti. Che fare in questa situazione? Aspettare le risposte della magistratura, attenendosi nella maniera più chiara possibile alla naturale evoluzione delle indagini. Ma soprattutto, visti anche i tristi esempi di tangentopoli, astenersi del dare giudizi definitivi a mezzo stampa (quindi anche in tv, radio e internet).

Ciò che è avvenuto negli studi di Fazio è oggettivamente diverso. C'è un'affermazione di senso di compiuto che è il nodo di tutta la vicenda. Una perfetta operazione di marketing, autorefernziale, tale da sponsorizzare il libro del giornalista. "Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi". E' qui che si gioca la partita. La spiegazione di questa informazione rimanda direttamente al volume dello stesso autore. Lasciando, però, da un lato la curiosità di andare a fondo e dall'altro una notizia apparentemente incontrovertibile. Il quadro ricostruito da Travaglio si arricchisce della presenza di Lirio Abbate, giornalista dell'Ansa, tristemente noto per essere stato colpito da minacce di morte da parte della mafia palermitana e costretto a vivere sotto scorta. Il disegno è chiaro, e nemmeno troppo velato: c'è chi la mafia la combatte, pagandone lo scotto, e chi invece vi è "amico", seduto in Parlamento, al Senato, sullo scranno più alto.

Facendo un veloce passo indietro, e senza sostituirmi al ruolo degli eminenti giuristi di Arcadia, c'è da dire che la professione giornalistica in Italia viene fatta risalire agli articoli 2 e 21 della nostra costituzione (art.2- diritti inviolabili dell'uomo, da cui diritto ad essere informato e di informare; art.21- diritto di espressione del pensiero) ed è regolata dalle leggi 47/1948 (legge sulla stampa) e dalla 69/1963 (che istituisce l'ordine). Al contempo, un vero ruolo guida se l'è guadagnato la Corte di Cassazione, sentenza 5259/1984, che ha messo i paletti per la corretta informazione; "quando concorrano le seguenti tre condizioni: 1) utilità sociale dell'informazione; 2) verità (oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest'ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti; 3) forma "civile" della esposizione dei fatti e della loro valutazione: cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l'offesa triviale o irridente i più umani sentimenti".

In più aggiunge che lo "lo sleale difetto di chiarezza sussiste quando il giornalista, al fine di sottrarsi alle responsabilità che comporterebbero univoche informazioni o critiche senza, peraltro, rinunciare a trasmetterle in qualche modo al lettore, ricorre - con particolare riferimento a quanto i giudici di merito hanno nella specie accertato - ad uno dei seguenti subdoli espedienti. [...] "b) agli accostamenti suggestionanti (conseguiti anche mediante la semplice sequenza in un testo di proposizioni autonome, non legate cioè da alcun esplicito vincolo sintattico) di fatti che si riferiscono alla persona che si vuol mettere in cattiva luce con altri fatti (presenti o passati, ma comunque sempre in qualche modo negativi per la reputazione) concernenti altre persone estranee ovvero con giudizi (anch'essi ovviamente sempre negativi) apparentemente espressi in forma generale ed astratta e come tali ineccepibili (come ad esempio, l'affermazione il furto è sempre da condannare) ma che, invece, per il contesto in cui sono inseriti, il lettore riferisce inevitabilmente a persone ben determinate;"

Rai, terra (anche) dei grilli parlanti e di silenzi assordanti.

lunedì 12 maggio 2008

La cronaca

giovedì 8 maggio 2008


SANTORO, VAURO E BORROMEO..LA PEGGIO GIOVENTU' SIETE VOI!


E' finito da poco il solito attesissimo talk show televisivo diretto da Santoro, ma al contrario delle passate trasmissioni, al termine delle quali mi limitavo al solito stanco sospiro di paziente compassione, questa volta non sono riuscito a fare a meno di confidare al nostro caro e fidato diario la stizza e la delusione che provo.

Questa sera la puntata era dedicata all'analisi del mondo giovanile alla luce del tragico episodio di Verona che ha turbato giustamente la coscienza dell'opinione pubblica di una città e del Paese intero. Un fatto che personalmente ho digerito con molta difficoltà. Ho provato un senso di profonda commozione e di grande dolore alla notizia del barbaro omicidio di un ragazzo per un motivo così banale, e ho riflettuto su come possa essere possibile per un gruppo di miei coetanei arrivare a commettere un gesto di così efferata violenza.

E' difficile però spiegare i motivi della mia rabbia senza rischiare di essere confuso per un subdolo difensore degli aggressori. Cercherò di essere il più chiaro possibile.

Alla trasmissione di Santoro si è cercato di dimostrare in tutti i modi che sebbene quella violenza non fosse stata in alcun modo ispirata ad un movente di carattere politico, tuttavia essa trovasse le sue origini più profonde proprio nell'appartenenza degli aggressori a qualche formazione riconducibile alla destra più estrema. Si è citata Forza Nuova, il Fronte Veneto Skin Head, Fiamma Tricolore, senza molta dovizia di particolari. Il discorso si è poi allargato a macchia d'olio. Da queste formazioni di estrema destra si è arrivati a parlare della galassia della destra giovanile in generale, senza fare distinzioni di alcun tipo, arrivando a tracciare un filo conduttore tra le frange più scalmanate di una destra senza cultura, fatta solo di simboli e manganelli, e la destra delle istituzioni locali (sindaco di Verona Tosi) e nazionali (Presidente della Camera Fini e compagnia bella). Si è lanciato il messaggio, in alcuni casi anche esplicitamente, che il motivo per cui la destra ha trionfato alle elezioni è che si era creato un sostrato culturale che aveva favorito tale risultato elettorale. Ma quando si cercava di capire quale potesse essere tale cultura delle destre si facevano vedere le interviste a un ultrà dell'Hellas Verona, che tra una bestemmia e l'altra, e col suo linguaggio sgrammaticato citava i soliti Mussolini e Hitler come grandi statisti del Novecento, e quattro ragazzi con capigliature molto compromettenti che ostentavano la loro tessera di Forza Nuova mentre spiegavano le loro affascinanti e molto originali teorie su come combattere l'immigrazione clandestina. A fianco a tutto questo vi erano i servizi che parlavano degli altri attori della peggio gioventù: gli sballati delle discoteche, i ragazzini che già a 16 anni si imbottiscono di droghe pesanti e i ragazzi che aspettavano il provino del Grande Fratello come la vera ed unica occasione della loro vita. Tutti accomunati da un comun denominatore: la totale assenza di maturità. Dall'altra parte della barricata in veste di compassionevoli maestri c'erano l'On. Titti de Simone di Rifondazione Comunista e la Borromeo che intervistava alcuni studenti di Verona e qualche esterno tra cui un riconoscibilissimo esponente dei centri sociali che non ha trovato niente di meglio da dire se non che ben 12 anni fa aveva subito un'aggressione da uno dei ragazzi che aveva ucciso il povero Nicola Tommasoli.

SI è fatta una gran confusione e ciò che è più grave è che non vi era una degna controparte. Era presente in studio Donna Assunta Almirante, col suo scarso carisma, e il Prof. Garimberti, che ha fregiato la trasmissione con delle interessanti riflessioni, purtroppo poco comprese dalla platea. Il disegno di Santoto era chiaro d'altronde. Bisognava screditare in tutti i modi la destra italiana e descriverla come un cumulo di arroganti squadristi.


La cosa che mi ha infastidito di più è stata la totale non curanza nell'informazione che è stata fatta. Si sarebbe dovuto dire quello che la realtà e la verità impongono di dire. L'equazione destra uguale Fscismo o nazismo è priva di alcun fondamento perchè vi è la gran parte della popolazione di destra di questo Paese che non ha bisogno di definirsi fascista o nazista per motivare la sua appartenenza politica. E non è tutto qui. Tra la destra estremista e la destra istituzionale esiste un panorama giovanile che si riconosce in una destra militante con una cultura ricchissima e piena di riferimenti storici e artistici, che affonda le sue radici molto più indietro del Fascismo e che è riuscita e sta riuscendo ad attualizzare alcuni dei suoi precetti originari nella realtà sociale ed economica di oggi. Una destra che ha una sua idea di Uomo e di Stato, i suoi simboli e i suoi eroi, i suoi miti e leggende, i suoi padri e i suoi figli. Una destra che ha un popolo che non ha bisogno di armi e che combatte da anni per conquistare i suoi spazi (e mi sembra che negli ultimi giorni ci sia riuscita alla grande!). Questa destra siamo noi e non ci siamo mai sporcati di sangue....semmai di colla durante le nostre affissioni notturne!!


Ciò che Santoro ha dimenticato di notare, a causa della sua cieca faziosità, è che gran parte di quella peggio gioventù di cui si è arrogato il diritto di parlare alla gente è quella che occupa i centri sociali di molte città italiane, dove in molti casi si predica l'intolleranza per chi è diverso da loro, per le forze dell'ordine, per i rappresentanti delle istituzioni, per chi come noi conduce una battaglia diversa dalla loro. Sono quelli che in molti casi non si sono fatti scupoli a compiere delle aggressioni molto violente ai danni di ragazzi innocenti. Un'informazione più accurata e responsabile avrebbe voluto che il conduttore desse un'immagine più veritiera dei fermenti politici vissuti dai giovani operando delle dovute distinzioni quantomeno nel rispetto di coloro che,come noi di Azione Giovani,vivono la politica da tanti anni con passione, dedizione e anche con discreti risultati. Ma l'idea che ho avuto della trasmissione è che si trattava di una autentica vendetta da consumare a causa della sconfitta buciante alle elezioni di cui forse non si sono ancora fatti una ragione.


In studio era presente anche la mamma di Renato Biagetti, altro ragazzo ucciso a coltellate da un'aggressione due anni fa sul litorale romano. Anche lei testimone di un episodio tristissimo e da condannare senza riserve. Ma purtroppo anche lei si è prestata ad un gioco che forse non ha nobilitato la memoria di suo figlio. Ha voluto, al termine della trasmissione, rinnovare il suo J'accuse non contro gli aggressori di suo figlio, ma contro tutte le forze riconducibili al fascismo, quindi tutte le destre di cui si era parlato fino a quel momento.

Al termine della puntata le vignette di Vauro hanno completato l'opera. Tra uno schizzo e l'altro non si è risparmiata una battuta relativa alla croce celtica che Alemanno indossa al collo. Dopo che per tutto il corso della trasmissione si era accostata la celtica ai teppisti con le teste rasate il messaggio è arrivato più chiaro che mai.

Mi sono sentito allo stesso tempo offeso e impotente di fronte allo schermo. Dispiace pensare che tale emozione sia stata generata da una rete del servizio pubblico.

mercoledì 7 maggio 2008

E’ difficile essere critici ed obiettivi davanti ad una vittoria. A maggior ragione, quindi, se le vittorie sono due e di tali proporzioni.
E allora partiamo con un sorriso. Guardare il nostro sardo sulle pagine del Corriere della Sera, penso abbia riempito il cuore a tutti. L’editor di via Solferino non si è fatto sfuggire gli occhi spensierati di Marco e della sua beneamata: è l’immagine della politica trasparente. Altro che Visco. Gli sguardi ubriachi di gioia, una fotografia che nella sua bidimensionalità dà l’idea di movimento (carta vincente per il neo sindaco), il feeling evidente tra i due protagonisti che non si guardano e contemporaneamente sono intenti nello stesso gesto: c’è la metafora dell’amore verso qualcosa, verso qualcuno. Parafrando Alemanno, “Amore per Roma”.
Le note dolenti. L’ennesima vicenda legata al viceministro Visco è nauseante. La diffusione su internet dei redditi 2005, mischia contemporaneamente il dilettantismo alla prepotenza. Punto primo: qualsiasi individuo che abbia avuto a che fare con il web ha inteso da subito che la rete non concede il diritto all’oblio. Al contrario esplicitato e garantito dalla legislazione in materia, a decorrere dalla scadenza dell’anno dalla pubblicazione. In secondo luogo non si capisce bene perché a breve distanza dalle elezioni politiche, a pochi giorni dall’entrata in carica del nuovo governo, il viceministro abbia sentito la necessità di un simil gesto. Sono tra quelli che pensa ad una vendetta. Non mi convince l'idea della pericolosità a fini estorsivi di queste informazioni, anche se ci sono valide ragioni per sostenerla. E' impensabile, però, che dati di questa natura, strettamente privata, possano essere resi pubblici per la sola volontà di una persona. Non è in questo modo che si combatte l'evasione fiscale. Anzi, si è esclusivamente fatta crescere la cultura del sospetto e del giustizialismo più infimo. Per di più, ieri, è arrivata la sentenza del Garante che ha giudicato “illegittima” l’azione dell’Agenzia delle Entrate. Ribadisco, penso alla vendetta, ad una manovra politica tale da acuire il contrasto sociale. Perseguire la trasparenza è una virtù, la trasparenza militarizzata un atto di irresponsabilità.



Facciamo un passo indietro. Sul 13 e 14 aprile sono state spese parole importanti. A mio modo di vedere è ancora prematuro dare giudizi limpidi sul PdL. Troppi interrogativi senza risposta sul futuro, sul percorso, sull’identità, sui circoli. Per il momento l’idea del partito unico di centrodestra si è rivelata una strategia geniale ai fini del risultato elettorale. Il governo appena presentato vede in campo tutti gli "assi" (o presunti tali) del mazzo. Lasciano ampi margini di speranza alcune nomine, ma rimane comunque difficile trastullarsi sulle poltrone quando un'intera Nazione reclama attenzioni e contromisure. I primi "cento giorni" saranno decisivi tanto per Roma quanto per il governo. Ripartire subito. Da Napoli e dai campi rom. Risposte e soluzioni. Perchè ci sono le prerogative per costruire più di un ciclo di governo, e convincere chi ha scelto di non assecondarci la sua fiducia.


Non mi allontano, però, dalle certezze dell’urna. Sinistra Arcobaleno, forza extraparlamentare. E’ stato abbattuto il muro dell’ideologia becera e ottusa. La condanna della candidatura di Colaninno non ha fatto breccia nel popolo sinistroide, così come la paura di un ritorno di Berlusconi. Gli italiani hanno deciso di scegliere i contenuti e l’azione politica. Questa è una chiave di volta. E’ stato dato un segno di vitalità a dispetto delle statistiche e delle classifiche più disparate che ci vedono sempre più spesso agli ultimi posti. C’è voglia di riaccendere il motore della produttività. L’esempio più nitido a questa affermazione l’hanno dato gli elettori di sinistra. Bocciando la Sinistra Arcobaleno, si è scelta la libertà (anche a sinistra, ohibò) dai ricatti, dagli ultimatum, dai dicktat.


Esiste un pericolo piazza? Forse. Tuttavia anche la campagna paranoica e antistorica sull’ipotetico sindaco fascista (Alemanno) ha garantito pessimi risultati. Io, forte sostenitore della privatizzazione dell’opinione pubblica, devo ammettere di essere rimasto sorpreso. Ampi strati della società han compreso la superficialità di certe informazioni, di slogan vecchi, di polemiche sterili e sorpassate.

Parlando di sconfitti non si può evitare un passaggio sul PD. Quell'idea di novità, da alcuni avveduti additato come nuovismo, è stata sonoramente bocciata. Tanto che nell'immediato post elezioni si è riniziato a discutere di oligarchia, gerarchie, dimissioni, subentri. Secondo alcuni la politica è il paradiso delle bugie. A volte però i 'sorbugia' vengono sbugiardati, dai primi sostenitori. E non è un bel vedere.

Il voto italiano si è dimostrato, come mai prima, fluttuante. Sona stati premiati i grandi partiti. E' stato scelto il voto utile. Polarizzazione delle persone, cannibalizzazione delle ideologie. C'è voglia di benessere e di sicurezza. A casa e sul lavoro. In vacanza, in macchina, nel tempo libero. Nessuno ha la bacchetta magica. Ma ci sono ragioni valide per essere ottimisti.

Per Roma