domenica 11 dicembre 2011

Caro Monti, non ci siamo!

La manovra approvata dal Governo Monti non fa altro che aggravare le condizioni di un paese lento, che non cresce. Per una manovra del genere non avevamo certo bisogno di “tecnici”.

Ci si attendeva qualcosa di più, uno sforzo maggiore per individuare delle soluzioni che facessero meno male possibile agli italiani e che rilanciassero l’economia italiana, altrimenti che senso avrebbe avuto chiamare degli “specialisti” in materia?!


Vedere il ministro del Welfare, Elsa Fornero, commuoversi, la dice lunga sulla severità delle misure adottate e sui sacrifici richiesti agli italiani.

La crescita doveva essere al centro di questo provvedimento, ma così non è stato. Addirittura il PIL subirà un calo dello 0,4/0,5% nel 2012, per poi crescere nel 2013 in misura pari allo…0%!


Aumentare l’Iva di un ulteriore 2% genera effetti che un “tecnico” in materia non può trascurare: aumento dei prezzi dei fattori produttivi, aumento dei costi di produzione per le imprese e dunque aumento dei prezzi finali. Poiché i salari reali rimangono invariati, è impensabile che così facendo i consumi possano aumentare e che l’economia italiana possa quindi ripartire.


Ma un’altra conseguenza deriva da questo intervento: se le imprese non riescono a vendere, come si può pensare di generare occupazione e ancor più, che fine faranno i lavoratori delle imprese che dovranno ridurre la loro produzione?


Non trascurabile è anche l’effetto che avrà l’aumento dell’accisa sulla benzina, il quale inciderà, oltre che sul prezzo pagato dai cittadini per ogni rifornimento, anche sui costi di trasporto per le imprese e inevitabilmente graverà sul prezzo finale dei prodotti pagato dai consumatori. Benzina e diesel aumenteranno rispettivamente di 9,9 cent e 13,5 cent al litro. Tra accise e Iva il prezzo del gasolio aumenterà così di 20 centesimi, mentre quello della benzina di 16 il costo della benzina.

Come se l’aumento dell’Iva non bastasse a far aumentare i prezzi finali!!!


Le aliquote IRPEF rimarranno invariate, così come i salari reali; previsto inoltre l’aumento dell’addizionale Irpef da destinare alle Regioni dallo 0,9% all’ 1,23%; reintrodotta l’ICI sottoforma della nuova imposta municipale unica (super-Imu) con aliquote pari al 4 per mille sulla prima casa e 7,6 per mille sulla seconda abitazione. Possiamo quindi affermare che la capacità di acquisto delle famiglie, in sostanza, si riduce, poiché aumentano le imposizioni fiscali a loro carico.


La tanto attesa stretta sulle pensioni è arrivata. L’aumento dell’età pensionabile consentirà allo Stato di alleggerire la propria spesa per le pensioni, ma i giovani, quando riusciranno ad entrare nel mondo del lavoro?e con quali garanzie?


Apprezzabile, ma non sufficiente, lo sgravo sull’IRAP per le imprese che assumono i giovani (proposta lanciata dalla comunità di Arcadia durante l’incontro “Una generazione che non va in default”). Bisognava fare di più per i giovani per garantire loro dei salari ed una vita dignitosa.


Minimizzati invece i tagli alla politica. Verranno abolite le giunte provinciali mentre rimarranno i consigli provinciali composti però da 10 consiglieri nominati dal comune. Nessun riferimento però riguardo le indennità e i vitalizi dei parlamentari o riguardo l’elevato numero dei rappresentanti del popolo italiano presenti attualmente in parlamento. La “casta” tale era e tale è rimasta!



Questa manovra “miope” consentirà sicuramente allo Stato di risanare la propria posizione debitoria e le proprie casse, a danno però di tutti i cittadini e del futuro di noi giovani.

Sapevamo che ci avrebbero atteso dei sacrifici, ma speravamo che a questi fossero affiancati degli interventi per rilanciare l’economia del nostro paese. Così però non è stato. I sacrifici richiesti ai cittadini sono particolarmente gravosi, mentre la crescita non è assolutamente garantita, al contrario è ostacolata sempre più.


Caro Monti, non ci siamo!


La comunità di Arcadia ha redatto un documento in cui sono state elaborate delle “proposte per l’Italia”.

In particolare noi riteniamo necessari due categorie di interventi:

· Interventi europei per sostenere i paesi in crisi;

· Interventi interni (nazionali) per sostenere l’economia reale.


· Interventi europei.

- L’Europa deve sostenere i paesi in difficoltà attraverso gli eurobond. Questi titoli consentirebbero all’Italia di ridurre la propria posizione debitoria, poiché prevedono un tasso di interesse più basso per i titoli emessi e genererebbero, allo stesso tempo, una maggiore liquidità per il paese attraverso la collocazione sul mercato di titoli obbligazionari più sicuri in quanto garantiti dal Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria.


- È indispensabile, inoltre, un ruolo attivo della BCE in questa fase. La Banca Centrale Europea, deve intervenire, erogando prestiti al FMI, il quale a sua volta potrà utilizzare questi fondi per fornire liquidità ai paesi europei in difficoltà.


· Interventi interni.

- Il primo intervento riguarda lo snellimento della macchina pubblica attraverso un processo di liberalizzazioni, soprattutto dei servizi pubblici. Gli enti locali dovranno comunque controllare sulla regolare amministrazione e gestione delle attività.

Si ridurrebbero così i “costi pubblici” sostenuti dallo Stato e dagli enti locali per offrire questi servizi.


- L’economia italiana va rilanciata e l’unico modo per farlo è rilanciare i consumi. La condizione indispensabile per fare ciò è la riduzione della pressione fiscale sulle famiglie. Bisogna dunque adottare un sistema fiscale basato su tre aliquote (20%, 30%, 40%) che preveda un risparmio per tutte le fasce di reddito.


- Riduzione dell’IRES per favorire maggiori investimenti e sostenere così l’occupazione.


- L’Iva non deve essere aumentata, poiché come abbiamo detto in precedenza, questo non farebbe altro che aumentare i prezzi finali pagati dai consumatori, riducendo così i consumi e ostacolando la crescita.


- Introduzione di una nuova tipologia di contributo di solidarietà che prevede, dopo aver applicato le nuove aliquote IRPEF di cui sopra, un prelievo sui redditi secondo tali percentuali:

L’1 per mille sui redditi fino a 28.000€;

L’1,5 per mille sui redditi da 28.000,01 a 55.000€;

Il 2 per mille sui redditi da 55.000,01 a 75.000€;

Il 3,5 per mille oltre i 75.000€.


Esempio:

- su un reddito di 20.000€ si paga l’1 per mille e quindi 20€;

- su un reddito di 50.000€ si paga l’1,5 per mille e quindi 75€;

- su un reddito di 100.000€ si paga il 3,5 per mille e quindi 350€;

- su un reddito di 300.000€ si paga il 3,5 per mille e quindi 1.050€;


Su un reddito medio di 20.000€ avremmo un contributo di solidarietà pari a 20€ (1,67€ mensili);

Il risparmio totale per un reddito medio di 20.000€, considerando anche l’IRPEF, sarebbe di 780€ annui.


- Regolamentazione dei contratti di stage stabilendo il rimborso spese obbligatorio per legge, il divieto di stage non retribuiti e minimo di legge fissato a 500 euro netti e detassazione completa del rimborso spese, un periodo minimo di stage fissato a 6 mesi, possibilità di interruzione per motivi oggettivi legati alla perfomance aziendale e infine l’inserimento di una percentuale minima annua di stagisti da trasformare in assunti, con contratto a tempo determinato (apprendistato) o indeterminato.


- Maggiore tutela del diritto allo studio evitando anche gli sprechi. A tal proposito l’erogazione delle borse di studio potrebbe essere effettuata non sottoforma di denaro, ma attraverso la fruizione gratuita di servizi (libri, mensa, trasporto locale) e alloggio.


- Facilitare l’accesso al credito dei giovani;


- Agevolare le start-up attraverso una riduzione dell’IRAP e dell’IRES per i 3-4 primi anni di vita dell’impresa.


- È necessario, inoltre, sostenere la nascita di nuove aziende di ricerca e sviluppo che nascano direttamente dall’università, secondo un processo di spin-off.


- Rilanciare il settore primario perché l’Italia non è solo un paese industriale ma ha anche altre risorse. Sostenere l’agricoltura vuol dire anche rilanciare il Made in Italy, e perché no, aumentare le esportazione dei nostri prodotti all’estero.


- Rilanciare il turismo. L’Italia dovrebbe riuscire a sfruttare al meglio la sua cultura, la sua storia e la sua posizione geografica. Un modo per farlo può essere quello di intervenire sulle infrastrutture, ma anche sulla qualità dei servizi offerti. C’è troppa speculazione sul turista. Bisogna diffondere una nuova mentalità non del “turismo” ma appunto del “turista”, garantendo ospitalità e qualità dei servizi.


- Regolamentare l’immigrazione secondo le esigenze del mercato del lavoro, migliorando l’efficienza dei CIE e autorizzando i flussi migratori solo se il mercato del lavoro lo richiede. A tal proposito, i CIE potrebbero fungere da “centri per l’impiego” facilitando l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro proveniente dall’estero.

Bisogna avviare un programma di prevenzione attraverso un maggiore e intenso controllo delle acque, monitorando le coste dei paesi dai quali vengono gli immigrati.


- Tagli ai costi della politica:

-> Dimezzare i parlamentari;

-> Ridurre le indennità parlamentari prevedendo Stipendi base minimi + bonus presenze;

-> Ridurre i rimborsi spese a favore dei parlamentari;

-> Eliminare ogni forma di vitalizi per deputati e senatori, tutelando comunque il diritto di versare contributi per la propria pensione. Più precisamente, nel corso del mandato, ogni parlamentare versa la quota di contributi in proporzione all’indennità percepita. I contributi versati, si integreranno con quelli versati negli anni precedenti l’incarico di parlamentare e quelli che verserà negli anni successivi all’incarico. Al compimento del 66° anno di età (!), il parlamentare avrà diritto alla sua pensione così costituita.

-> Per favorire un ricambio generazionale, ogni parlamentare potrà rimanere in carica per un periodo massimo di 2 mandati.


Queste sono le nostre proposte per la nostra Italia.


Caro Monti, non saremo sicuramente dei “tecnici”, ma amiamo il nostro Paese e ci teniamo al nostro futuro.



Paolo S.

domenica 4 dicembre 2011

Crisi per tutti. God Bless America.


Correva l’anno 2006. Negli Stati Uniti, il paese della libertà, era riconosciuta a chiunque la possibilità di accendere un mutuo. Porte aperte dunque anche a chi era già stato dichiarato insolvente per altri mutui, a coloro i quali fu dichiarato lo stato di bancarotta, a chi non poteva fornire le adeguate garanzie di adempimento e che quindi aveva alta probabilità di non restituire le somme prese in prestito. Money to everybody! Questa particolare categoria di mutui fu definita subprime.

Contemporaneamente, il prezzo degli immobili aumentò, dando vita alla cosiddetta bolla immobiliare. Secondo questo fenomeno, il prezzo degli immobili sale rapidamente per poi ridursi sempre con molta rapidità. I mutui contratti con la formula subprime erano quindi commisurati al valore dell’immobile. Quando però questa bolla, come ogni bolla degna del suo nome, si sgonfiò, i prezzi degli immobili calarono rapidamente, determinando la riduzione del valore degli stessi. Fu l’inizio della fine. Coloro i quali avevano contratto un prestito, si ritrovarono con un mutuo il cui valore eccedeva l’effettivo valore dell’immobile. I soggetti debitori erano dunque incapaci di rimborsare il mutuo contratto e molte banche dovettero così dichiarare la bancarotta. Tra queste, il colosso finanziario Lehman Brothers.

Gli Stati Uniti si trovarono così ad affrontare la più grande crisi finanziaria dopo quella del 1929.


Ma come può una crisi finanziaria attraversare l’oceano?

Il processo di contaminazione dell’Europa iniziò nel 2008. Ciò che permise alla crisi finanziaria di arrivare nel continente europeo fu la cartolarizzazione dei crediti. Attraverso questo processo di cessione dei crediti, il soggetto creditore può cedere il proprio diritto di credito a un altro soggetto (es. altre banche) in cambio di liquidità; quest’ultimo soggetto, a sua volta, emette titoli obbligazionari per pagare le somme al soggetto cedente. Quando però, il debitore diventa insolvente, colui che ha acquistato il diritto di credito non riceverà alcun pagamento e di conseguenza non riuscirà così a rimborsare i sottoscrittori delle obbligazioni. Nel nostro caso, le banche che avevano erogato mutui subprime, cedettero alcuni loro crediti ad altre banche europee; i debitori divennero così responsabili verso queste ultime, ma vista la loro incapacità di rimborsare il debito, anche le banche europee entrarono in crisi, coinvolgendo anche i sottoscrittori dei titoli obbligazionari emessi dalle stesse banche. Ed è così che la crisi assunse carattere mondiale. Qualcuno cantava “God Bless America”…


Quando la crisi iniziò a diffondersi negli Stati Uniti, il tasso di cambio euro/dollaro salì vertiginosamente sfiorando quota 1,6. Il dollaro e l’economia americana si erano notevolmente indebolite. Era necessario quindi per Mister Obama recuperare terreno, fermando questo processo di svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro.


La contromossa fu immediata. Iniziò così la speculazione contro l’euro. La Fed iniziò ad emettere moneta per fronteggiare la crisi, mantenendo però i tassi di interesse bassi. Questo aumentò gli investimenti diretti in Europa, dove il tasso di interesse era invece più elevato e gli investimenti avevano un rendimento maggiore. Alcuni titoli europei furono così acquistati a prezzi bassi (a cui si associava però un tasso di interesse elevato) per poi essere rivenduti. Molti paesi europei, tra cui l’Italia, erano però caratterizzati da una situazione economica critica, con debiti pubblici altissimi e PIL che stentavano a crescere. Queste condizioni non fecero altro che acuire gli effetti della crisi. I titoli in euro furono messi in vendita senza trovare compratori. Così, i prezzi di questi titoli scesero, dando vita all’effettiva svalutazione dell’euro.

Il dollaro riacquistò così valore e il rapporto euro/dollaro si riassestò intorno a quota 1,30.

Qualcuno cantava “God Bless America”…


La situazione italiana è a dir poco preoccupante. L’Italia ha un rapporto debito/Pil pari al 119%, un debito pubblico di 1.883 miliardi di euro mentre il Pil cresce dello 0,7%.

Ultimamente sentiamo parlare di spread. Lo spread misura il differenziale tra il rendimento dei titoli di stato italiani e il rendimento di quelli tedeschi. Come parametro di riferimento è preso quello tedesco poiché l’economia tedesca è attualmente la più “sana”. Maggiore è lo spread, maggiore è il rischio che lo Stato sia insolvente e che quindi non riesca a mantenere gli impegni assunti nei confronti dei sottoscrittori dei titoli. Inoltre, maggiore è lo spread, maggiore è il tasso di interesse dei BTP, il quale misura la rischiosità legata ai titoli. Questo continuo aumento del tasso di interesse non fa altro che peggiorare la posizione debitoria futura dello Stato. Una catastrofe.

Particolare attenzione viene riservata anche al mercato azionario italiano; questo, attraverso il suo indice di riferimento (FTSE MIB), misura le transazioni che avvengono in borsa. Più precisamente, quando la borsa “chiude in calo” vuol dire che le azioni delle società quotate, complessivamente perdono valore poiché le aspettative future sono negative ed è necessario ridurre il prezzo di queste per poterle collocare sul mercato.

La borsa dunque misura lo stato di salute dell’economia reale italiana, influenzando anche la variazione dello spread. Ma l’economia italiana, come detto prima, stenta a riprendersi e così lo spread continua a salire e con esso il tasso di interesse dei BTP.


Il 2012 rappresenta per l’Italia un anno cruciale poiché lo Stato dovrà rimborsare titoli per un valore pari a 259 miliardi. Bisognerà individuare delle soluzioni immediate per affrontare questa fase delicata senza però trascurare la crescita futura, bisognerà risanare le casse dello Stato senza trascurare le politiche sociali per il cittadino.

Non sappiamo cosa ci attende, sappiamo che il futuro non sarà facile…e sappiamo fin troppo bene che gli Stati Uniti non sono poi così lontani.


Qualcuno cantava “God Bless America”…



Paolo S.