lunedì 17 dicembre 2012

Voci di corridoio : Good morning Palestina



Si è svolta martedì 11 Dicembre la prima uscita di “Voci di corridoio”, che paradossalmente ha avuto il suo battesimo di fuoco in un atrio di Economia de La Sapienza insolitamente gelido. Un battesimo di fuoco perché si trattava, oltre che di una tavola rotonda, anche di un esperimento. E una sfida.
Un esperimento perché abbiamo tentato di superare l’idea di un convegno, di una tavola rotonda, rinchiusa tra quattro mura dedicate solo a quello, destrutturandola. Ipotizzandola in un ambiente caotico, dinamico, di passaggio, facile alle distrazioni, alla bisboccia.
Una sfida, invece, perché abbiamo osato sfidare l’indifferenza - o quantomeno la diffidenza- , la disattenzione. Anche il qualunquismo, perché no.
Propri di quell’ambiente di passaggio che può essere un atrio enorme di una facoltà enorme. In cui tutto può essere lecito, tranne fermarsi a riflettere su qualcosa che vada al di là del proprio naso. Ecco lo schiaffo di sfida che abbiamo lanciato ai giovani studenti. E “voci di corridoio” è stato il nostro guanto.
Ed è stato uno schiaffo forte, sentito. Al quale gli studenti certo hanno risposto.

L’argomento trattato non era certo semplice. Il conflitto israelo-palestinese. I momenti di terrore vissuti a Gaza non più di un mese fa. Ma anche il riconoscimento come “Paese osservatore” dell’Onu alla Palestina- di fatto un riconoscimento dello status di Stato.
Lo scenario è stato quello di una serie di sedie disposte a mo’ di agorà in miniatura, nell’ampio nulla di un atrio, tra una bacheca con gli annunci di una stanza in affitto, i corsi di recupero ed improbabili cineforum. Gli sguardi curiosi degli studenti che andavano a lezione, e quelli più scettici di chi aveva qualche momento libero per prendersi un caffè o fumare una sigaretta. I manifesti parlavano di “Good morning Palestina”. Di solito queste cose si fanno nelle aule più piccole.

Eppure, giusto il tempo per far arrivare i relatori, e le sedie si sono riempite. E tante erano anche le persone in piedi. Gli sguardi più scettici si sono d’un tratto fatti curiosi.
Richiamati anche dalla voce rotta dall’emozione di Gabriella, che rimbombava timida nell’atrio anche grazie ad un mini-amplificatore.
La prima uscita di “Voci di Corridoio” è partita con un iniziale punto di vista comunitario sulla situazione palestinese affidato alle parole di Marco Cossu, per lasciare poi spazio al focus sul voto favorevole all’Onu da parte dell’Italia in merito al riconoscimento della Palestina come ‘Stato osservatore’, su ciò che ne è comportato in ambito di relazioni internazionali, e più in generale sulle analisi geopolitiche di questa storica tappa della storia delle relazioni internazionali con il dott. Ansalone, che ha insistito perché gli fosse rivolto del ‘tu’, in barba a qualsiasi formalità convegnistica. E poi siamo tra ragazzi.
Successivamente,  si è passati al conflitto visto con gli occhi degli americani (ebrei e non), studiati e vissuti da Ernesto Di Giovanni direttamente negli States durante la campagna elettorale per le recenti presidenziali.
Infine, con le parole del prof.Marconi, ci si è avventurati nell’analisi del conflitto da un punto di vista storico, facendo risalire le basi del problema al XIX secolo, con Marx ed Herzl, che in maniera differente inventarono il sionismo, passando alle emigrazioni in Terra Santa, allo zampino britannico, fino agli attuali “check-point volanti” presenti sul territorio israeliano.

E la nota senz’altro più bella è stata l’ampia partecipazione dei ragazzi attirati da questo insolito convegno, che tra una lezione ed un’altra, tra un caffè ed una chiacchiera, si sono lasciati incuriosire da questo argomento insolito per la location, fermandosi ad ascoltare con attenzione e partecipando attivamente alla discussione, pur partendo da punti di vista a volte diversi, siano essi politici, etnici o morali. Un ragazzo palestinese, ad esempio, ci ha parlato di come la sua gente vive il conflitto, delle peripezie affrontate dalla sua famiglia, dai suoi conoscenti, con voce rabbiosa e appassionata di chi non ha altro che la disperazione per affermare un diritto.
Punti di vista che hanno arricchito di contenuti particolari un convegno già di per se atipico. Punti di vista che hanno contribuito a fermare l’attenzione di ragazzi delle nuove generazioni -spesso additate di superficialità e qualunquismo, a volte anche a torto - su argomenti più elevati rispetto ad una serata in discoteca piuttosto che sull’ultima hit del cantante in voga adesso su mtv.
Ci eravamo ripromessi che “Good morning Palestina” sarebbe stato il primo evento del ciclo “Voci di corridoio”. Gli sguardi vispi e attenti dei presenti ci hanno convinto a metterci già al lavoro per il prossimo appuntamento. Abbiamo sempre avuto questo viziaccio di coltivare le idee, per armare le anime. Quegli sguardi ci hanno fatto capire che non abbiamo torto.
We’ll be coming. Soon.
Pagina fb: Voci di corridoio

sabato 13 ottobre 2012

Si alla Tobin Tax


La Tobin Tax è un atto di giustizia. E' la tassa per colpire le operazioni ad alto rischio delle banche d'affari e per prevenire le speculazioni finanziarie. Garantirebbe un gettito annuo di circa 60 miliardi di euro da destinare a misure per la crescita e per l'occupazione, soprattutto giovanile.
L'Inghilterra è il capofila dei Paesi contrari. E non solo. La Gran Bretagna beneficia di inaccettabili benefici come esenzioni fiscali, come lo "Sconto britannico", ovvero lo sconto sulla contribuzione comunitaria, che sottraggono fondi preziosi alle politiche di coesione per i popoli europei.
L'Italia paga il prezzo più caro!

Roma, 13 Ottobre. Ambasciata britannica. SFIDA CAMERON! SFIDA L'INGHILTERRA!



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mercoledì 19 settembre 2012

Sfida la Crisi - Frankfurt 2012

Dal 20 al 23 settembre, a Francoforte, la gioventù si mobilita. Entra in azione. In movimento.
Affronta di petto la crisi e fa sentire la sua voce, senza delegare o rimandare a data da destinarsi le sue proposte.
Sotto l'EuroTower di Francoforte, sede della BCE, centinaia di giovani scenderanno in piazza, pacificamente ma con decisione, per avere risposte concrete, reali, precise dal Governo Italiano e dall'Unione Europea in merito al caldissimo tema dell'occupazione giovanile,  e chiedere loro di mettere al centro della loro agenda politica il tema del garantire ai giovani la possibilità di crearsi un futuro.

Nè indignati, nè rassegnati. Sfida la crisi!



People have the tower!


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giovedì 19 luglio 2012

A Paolo Borsellino.



"Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo".
A vent'anni esatti dalla strage di Via D'Amelio, a Palermo.

PAOLO BORSELLINO VIVE!

sabato 23 giugno 2012

#sfidalamerkel

Crisi: 'sfida la Merkel', maratona oratoria al Pantheon 

ROMA - Simbolica, colorata e coreografica ma è una "sfida determinata" alla cancelliera Angela Merkel quella che hanno messo in scena i ragazzi delle associazioni giovanili del Pdl (Officina futura, Roma nord, Arcadia, Eurota) questo pomeriggio al Pantheon. Magliette con la scritta #SfidaLaMerkel e per sfondo il maxi striscione "Non solo rigore e sacrifici è il tempo di lavoro, crescita e sviluppo". Così si è aperta la maratona oratoria in corso a Piazza della Rotonda promossa dal Vicepresidente del Parlamento europeo Roberta Angelilli e dal senatore Andrea Augello per lanciare una petizione popolare europea a sostegno di misure anti crisi. Eurobond - project bond, piano contro la disoccupazione giovanile, riforma della Bce, agenzia europea di Rating, tobin tax, accesso al credito per le Pmi: queste le proposte da sostenere.


"Durante il prossimo Consiglio europeo del 28 e 29 giugno si attendono alcune decisioni importanti per far fronte all'attuale crisi economica. Dopo politiche all'insegna solo del rigore, dei sacrifici e dell'austerità ci vuole un piano strategico che sia volto a rilanciare l'occupazione e la crescita", ha detto Angelilli.


"Le proposte che abbiamo portato oggi sono al centro del dibattito europeo - ha aggiunto - e l'Italia non è il solo Stato a chiedere un'inversione di rotta. Insieme a Francia, Austria, Olanda e Svezia chiede che vi siano azioni che possano ridare ossigeno all'economia e soprattutto speranza ai cittadini e ai giovani europei. La grande adesione alla manifestazione di oggi e la sottoscrizione della petizione è un messaggio importante di come anche i cittadini chiedano di essere parte integrante del processo decisionale".

Fonte : http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/voceeurodeputati/2012/06/22/Crisi-sfida-Merkel-maratona-oratoria-Pantheon_7081784.html?idPhoto=4

sabato 12 maggio 2012

Pdl: 'Aaa cercasi Giovane Italia', lettera aperta dirigenti giovanili a vertici partito

Roma, 11 maggio 2012
LETTERA APERTA "AAA CERCASI GIOVANE ITALIA"

Questa mattina alcuni dirigenti giovanili e giovani amministratori del Pdl, hanno inviato a tutti i parlamentari del Popolo della Libertà e alle cariche del partito una lettera aperta avente per oggetto “AAA CERCASI GIOVANE ITALIA”.
“Da troppo tempo la Giovane Italia reagisce con inerzia e pigrizia di fronte a tutti gli avvenimenti che turbano e agitano il dibattito politico. Sono anni che non esiste la possibilità di partecipare al processo decisionale della nostra struttura. Il risultato è stato la totale assenza di posizioni e proposte in un periodo storico in cui si sarebbe dovuto alzare la voce su argomenti fondamentali, dalla riforma del mercato del lavoro, alle polemiche sull’energia nucleare, dal conflitto in Libia, fino alla drammatica crisi dei migranti a Lampedusa”, spiegano i promotori dell’iniziativa.
“Siamo felici - continuano - delle dichiarazioni, in riferimento alla legge elettorale, di Giorgia Meloni, Presidente Nazionale della Giovane Italia, il movimento giovanile del Nostro partito. Siamo felici che finalmente si torni a parlare di meritocrazia, di partecipazione, di scelte, tutti termini che nel movimento giovanile ci sembravano tristemente “passati di moda”. Peccato che questi aggettivi e queste parole piene di significato vengano utilizzate per parlare della legge elettorale e non rispetto a temi di grande urgenza per il Paese, come la dilagante disoccupazione giovanile, le riforme necessarie per l’Italia da attuare in un momento difficile e pesante per vincere la sfida della crisi”.
“Chiediamo quindi un rilancio della Giovane Italia, rendendola finalmente un movimento partecipato e militante. Noi invochiamo la partecipazione e luoghi dove poter condividere idee, battaglie ed iniziative, per essere in prima linea sulle principali tematiche di interesse giovanile. Le priorità del dibattito attuale giovanile sono altre, non la legge elettorale”, concludono.

Firmatari:
Jessica P. De Napoli – Dirigente Associazione Giovani del Pdl, Officina Futura, Consigliere IV Municipio Roma Capitale
Holljwer Paolo, Dirigente Associazione Giovani del Pdl, Officina Futura, Consigliere III Municipio Roma Capitale
Daniele Sabatini, Giovane Italia Viterbo, Assessore Comune di Viterbo,
Mauro Fantera, Dirigente giovani del Pdl Eurota, Assessore Comune di Fonte Nuova
Filippo Antonuccio, Dirigente giovani del Pdl Eurota, Consigliere Comunale Fonte Nuova
Riccardo Iotti, Giovane Italia Ardea, Consigliere Comunale Ardea
Marco Cossu, Dirigente Arcadia, Consigliere d’Amministrazione LazioDisu
Vitaliano Magro, Esecutivo Nazionale Azione Universitaria,
Michele Mannarella, Dirigente Arcadia
Giuseppe Romano, Consigliere di Amministrazione Università di Roma La Sapienza

mercoledì 28 marzo 2012

Treni-taglia in due lo Stivale

A 151 anni dall’Unità d’Italia, dopo le tante minacce di separazione da parte di fazioni politiche, una divisione della Nazione,di fatto, si sta lentamente compiendo. Ad opera delle Ferrovie dello Stato.
Un taglio che ha dell’assurdo. Trenitalia, società di proprietà al 100% delle Ferrovie dello Stato (quindi, con partecipazione statale attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze), infatti, pur gestendo cospicui fondi pubblici, presenta bilanci e struttura produttiva da azienda privata. Ma non è questo il problema, figuriamoci. Quanto, il farlo sulle spalle di determinati “settori”, quelli “meno appetibili” dal mercato.
Trenitalia, anzi, Treni-taglia, ha infatti, da un lato migliorato (e di molto) i servizi nei tratti più trafficati, dall’altro ha tagliato selvaggiamente in quelle zone meno trafficate.
A cominciare dal Mezzogiorno, sempre più isolato dai collegamenti. Per continuare con le tratte dei pendolari verso i grandi centri, e le altre zone del Centro e del Nord poco interessanti da un punto di vista di mercato. E per finire con il taglio dei treni notte che collegavano i passeggeri di varie parti d’Italia di notte, in tutta calma. In totale, sono state 21 le tratte soppresse nell’ultimo anno.

Il Sud è il caso più lampante di questi tagli. La Calabria e la Sicilia, nello specifico, i due esempi chiave. Dal Nord verso la Sicilia i treni sono stati soppressi. E per chi volesse scendere da Milano, Torino, Venezia,a Palermo in treno, lo potrebbe fare solo facendo scalo a Roma. I servizi sono peggiorati. Dall’orario (di mezz’ora in più rispetto a 30 anni fa), alla soppressione dei vagoni (da 10 a 8, in media), alla soppressione di intere fasce orarie. Gli abitanti di alcuni capoluoghi siciliani, come Agrigento o Ragusa, addirittura per prendere un qualsiasi treno saranno costretti ad arrivare a Palermo o Siracusa. E verso gli altri capoluoghi non esiste alcun collegamento.
In Calabria, ad esempio, i treni alta velocità che portavano a Reggio Calabria sono stati dimezzati, con orari improbabili e scomodi, senza alternative più economiche. Nella Locride si viaggia su una sola rete, e nemmeno elettrificata. I servizi interni (verso Catanzaro, Sibari e Lamezia) sono insufficienti, e nemmeno Gioia Tauro, il più grande scalo transhipment del Mediterraneo, ha raccordi efficaci con le reti italiane ed europee. Senza contare che la linea ionica, dopo 137 anni, ha chiuso i battenti. E su quella tirrenica si assiste ad una continua erosione che causa rallentamenti e deviazioni delle linee.
In Basilicata, la regione che, a livello di viabilità, è la peggiore d’Italia, gli orari dei treni e la loro qualità hanno subìto rigidi provvedimenti.
In Puglia il Salento è praticamente stato tagliato fuori dai collegamenti col resto d’Italia, e le altre zone non se la passano meglio.
E non si contano le volte in cui, in prossimità delle grandi feste, i costi dei biglietti sono stati alzati, a fronte di un servizio scadente e superficiale, e di un’eliminazione incomprensibile di vagoni. (Es. periodo di Natale 2011, intercity Roma-Napoli-Taranto, solo 4 vagoni, al contrario dei 9 del Natale 2010).

E per quanto riguarda i pendolari, la legge di stabilità ha tagliato qualcosa come 1,7 miliardi di Euro al trasporto regionale. I pendolari che arrivano a Roma, per esempio, si ritrovano spesso con orari impossibili, treni fatiscenti e stracarichi, e ritardi all’ordine del giorno.
E se si pensa che, di contro, per la stazione dell’alta velocità di Tiburtina sono stati spesi 330 milioni di Euro, le tratte da Milano a Roma sono diventate pressoché tutte ad Alta Velocità, con treni nuovissimi e lussuosi, e addirittura Trenitalia ha creato ben 4 classi per i passeggeri, su quei treni che viaggiano dal centro al Nord, c’è da rimanere amareggiati e delusi per la disparità abissale di trattamento.
A maggior ragione se consideriamo che le Ferrovie dello Stato continuano a percepire contributi da Stato e Regioni, con contratti di servizio a questi tracciati, e che sia il Trattato di Roma, sia la legge Italiana sulle concorrenze definiscono “I settori d’interesse economico generale” (i servizi pubblici, tra cui,appunto,i treni). Un vero e proprio taglio in due dell’Italia, che riporta la Nazione agli anni ’50. Noi non ci stiamo. Basta tagli. Basta calpestare la popolazione. Basta farlo con i soldi pubblici.



lunedì 19 marzo 2012

A titolo comunitario

Chissà se basterà mettersi sotto al braccio per una settimana, un mese o un ora Dante e la sua Divina Commedia per redimersi dalla deflagrazione dei comunicati stampa degli ultimi giorni. Chissà se le nuove frontiere della modernità preferiscono il linguaggio di una partita cantata a colpi di personalismi in rima baciata allo schema incatenato e molto rivoluzionario delle cantiche. Chissà se sotto il segno dell’arte più che dell’identità nazionale si riuscirà a trovare una quadratura tra il regno delle due Sicilie e quello di Sardegna, tra i nuovi guelfi e i ghibellini, al grido “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province ma bordello!”.

Perché se è vero che le agenzie di rating si ostinano a defenestrare banche e governi, titoli di stato e enti comunali sulla base della rissosità e della poca trasparenza, senza che questi possano darne una controprova utile a sbugiardare con la stessa tempra gli interessi della grande finanza, la pletorica spaccatura che si è consumata sulle righe fredde e tecnologicamente avanzate dell’Ansa o dell’Adn richiamerebbero tutti, militanti, simpatizzanti e amici di amici, ad un senso di responsabilità e di attaccamento che non può considerarsi in soffitta di fronte allo spauracchio di un congresso. A maggior ragione se i protagonisti di queste nuove fronde che guidano la Giovane Italia sono da considerarsi figure indicate da una CRN, cabina di regia nazionale, che attentamente ha valutato i percorsi, la storia, i talenti e promiscuamente diviso tra federazioni e coordinamenti.
Per le strade di Roma, e non solo, al fianco di un’idea di Europa che continuiamo a condividere, si aggirava un fantasma che già nella tarda mattinata di martedì ha svelato il suo mantello. E’ uscito fuori dal guscio il Metodo che si differenzia dal Merito per via della forma che porta ad assumere alla realtà.
E poi gli obiettivi verso i quali guidare un movimento che si affaccia sotto il sole per essere il nuovo che avanza, custode di una tradizione che si rinnova, figlio di una storia che trova nelle sue Comunità non la sublimazione di un sacrificio quanto lo strumento tanginbile per indicare la strada alle nuove generazioni.

Viene da chiedersi, senza troppi anatemi, se un movimento d’opinione può permettersi di mettere alla berlina se stesso, se la comunione di un progetto iniziale può tollerare e per quanto la stregua dei personalismi e l’accanimento terapeutico dei vizi da prima repubblica. Se dietro uno striscione non ci fossero anche le immagini di coloro i quali sono rimasti a casa, per scelta o meno. Se il voto all’eroismo di alcuni non derivi dal muro che si sono costruiti intorno. Se può esistere un movimento senza la sua base, se ciò che da linfa nasca dalla difesa cieca dei propri percorsi, delle proprie storie e figure di riferimento. Quale significato abbiano le parole rispetto, stelle, coraggio, e se mai possano essere interscambiabili con strappo, titoli di giornale, prevaricazione. Se un movimento che intende parlare non al più variegato universo del centrodestra italiano, ma all’Europa, può permettersi di ignorare John Nash e sposare senza indugi, oggi più che mai chiamati ad una nuova solidarietà intergenerazionale, Adam Smith.

http://www.youtube.com/watch?v=xTeQxLfloJ8

martedì 6 marzo 2012

Spin-off: la chiave dell’innovazione.

Avere un’idea non basta. Bisogna saperla gestire, organizzare e razionalizzare tutti i processi che conducono alla concretizzazione di questa idea. Inoltre è necessario che l’idea sia conforme alle esigenze del mercato affinché possa avere successo. Potremmo quindi definire innovativa, l’idea che dà vita ad un nuovo prodotto/servizio o quando questa creerà un nuovo processo di approvvigionamento, di produzione o di commercializzazione o anche nel caso in cui consentirà di ridurre i costi di questi processi. L’innovazione dunque è alla base della crescita e dello sviluppo di un sistema economico.


L’economia italiana, oltre ad essere caratterizzata da una crescita lenta, quasi nulla, presenta scarsi investimenti in ricerca e sviluppo, sia nel settore privato sia in quello pubblico. L’elevata pressione fiscale sulle imprese, la difficoltà di accesso al credito e l’eccesso di burocrazia non fanno altro che ostacolare il processo di nascita di nuove imprese, compromettendo anche la loro sopravvivenza. L’Italia per superare questo periodo di crisi ha bisogno di nuove imprese che possano garantire occupazione e che rendano più competitivo il nostro paese anche in ambito internazionale. L’Italia ha bisogno di innovazione!


Nel corso dell’evento organizzato dalla comunità di Arcadia, “Una generazione che non va in default”, abbiamo ribadito l’importanza di sostenere la nascita di nuove aziende di ricerca e sviluppo che partano dall’università, luogo di cultura e visione del futuro, secondo un processo definito spin-off.

Con il termine spin-off si intende il processo attraverso cui si realizza una separazione di una specifica attività nell’ambito di un’impresa e la formazione di un’altra impresa autonoma avente come business fondamentale l’attività oggetto della separazione. Tali processi possono avere origine anche all’interno delle università. In questo caso si parla di spin-off accademici, costituiti principalmente da professori e ricercatori universitari.

In Italia, infatti, le imprese investono poco in ricerca e sviluppo. L’attività di R&S è realizzata principalmente all’interno delle università, dove i progetti di ricerca realizzati da professori e ricercatori possono dar vita a nuove imprese che fanno di questo progetto il loro business.

A supporto della nostra proposta, come testimonia l’articolo de “ilSole24Ore” in allegato, i tre principali atenei romani sono molto attivi in questo senso e negli ultimi cinque anni hanno creato circa quaranta spin-off operanti in settori differenti. Non mancano però i problemi per queste start-up: tempi lunghissimi per ottenere l'erogazione dei finanziamenti pubblici, gravi difficoltà di accesso al credito, concesso solo sulla base di fatturati e capitale sociale, senza tenere conto del rating tecnologico dei progetti, ovvero del loro potenziale innovativo.

Gli interventi per garantire la crescita della nostra economia dovranno dunque riguardare anche questo fenomeno, il quale più di ogni altro, potrà fornire a questo paese la chiave per l’innovazione.


http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2012-02-28/quaranta-idee-fanno-impresa-184524.shtml?uuid=AaXumIzE



Paolo S.

Marò italiani, scarcerarli sì, liberarli... aspettiamo

Ho aderito anche io all'appello lanciato dal Giornale, diretto da Alessandro Sallusti, per chiedere la scarcerazione dei due marò italiani, accusati di avere ucciso due pescatori indiani nel corso di una missione internazionale contro la pirateria. Ribadisco, la scarcerazione. Cosa ben diversa dalla liberazione. Proprio così, perché tale petizione è partita dopo la notizia che i due militari sono stati tradotti in carcere dall'autorità giudiziaria indiana per la sussistenza di prove incontrovertibili circa la loro colpevlolezza. Entriamo su un campo molto delicato, quello del diritto internazionale, secondo il quale il tribunale competente non sarebbe quello indiano bensì quello italiano, dal momento che il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali e, di conseguenza, il giudice competente è quello della cui nazionalità è espressione l'imbarcazione su cui navigavano i due presunti rei. Lasciamo per un attimo il campo del diritto internazionale ed entriamo in quello della sovranità nazionale. Un concetto profondo, inviolabile e sacro. Per il rispetto della quale è più che doveroso dare ascolto alle autorità italiane sostenute da una larghissima parte dell'opinione pubblica nostrana: rimettere Massimiliano Latorre e Salvatore Girone al giudizio di una corte italiana significa rispettare la nostra sovranità e il nostro diritto a disporre le regole vigenti nel nostro Paese per i suoi cittadini e a disciplinare tutte le fattispecie in violazione delle nostre norme e di quelle derivanti da altri ordinamenti, come quello internazionale, in cui ci riconosciamo. Ma adesso entriamo in un ultimo campo, quello della verità oggettiva e della giustizia. I due militari, finché non siano accertati i fatti, sono due potenziali rei. Al momento, giustamente, si sta dedicando molto impegno a dirimere la questione delle competenze e mi auguro che alla fine la parola dell'Italia possa prevalere. Ma dopo si aprira un'altra partita, quella della ricerca della verità. E tale ricerca potrebbe anche non sorridere ai marò perché potrebbe portare, in seguito alle dovute indagini, alla loro colpevolezza in uno dei reati più brutti e spiacevoli. Proprio per questo condivido il messaggio che ha lanciato il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che si è opposto all'esposizione dello striscione, troppo indulgente, per ora, nei confronti dei militari. E ciò che vorrei soittolineare è la motivazione addotta dall'amministrazione: "per mancata conoscenza dei fatti e impossibilità di dare giudizi", ha ribadito il capogruppo milanese del Pd Carmela Rozza. Pieno sostegno però, da parte del Comune, "alla rivendicazione che i 2 marò, essendo i fatti avvenuti in acque internazionali, siano giudicati in Italia". Equilibrio, nient'altro che equilibrio, per non incorrere in futuro (speriamo di no, ovviamente) in rimorsi lancinanti di coscienza. Trovo che il messaggio che sta passando, invece, sia tutt'altro che equilibrato, troppo sbilanciato a favore della presunta innocenza dei due, tendente ad annebbiare la sostanziale differenza tra le due sfere, quella delle competenze e quella del diritto. Sono convinto che le istituzioni italiane competenti stiano battendosi per affermare con forza il principio della sovranità nazionale. E se non lo facessero sarebbero responsabili di un gravissimo errore. Ma con la stessa partecipazione che stiamo infondendo in questa battaglia, mi auguro che chiederemo alle nostre istituzioni di spingere affinché sia accertata la verità oggettiva, una volta che, mi auguro il prima possibile, i due marò saranno processati nei nostri confini.

giovedì 23 febbraio 2012

Punto e virgola



Punto e virgola ; una Comunità che non vuole mettere il punto ma andare a capo.


La Comunità politica di Arcadia è lieta di invitarvi all'evento "Punto e virgola - una Comunità che non vuole mettere il punto ma andare a capo", la giornata identitaria in cui i militanti della Comunità presenteranno il Manifesto di Arcadia.

A far da cornice all'evento, la suggestiva location del Palazzo Baronale di Gavignano, in provincia di Roma.


PROGRAMMA.

Ore 9:30– Arrivo

Ore 10:00 – Apertura della giornata: “ Punto e Virgola” una Comunità che non vuole mettere il punto ma andare a capo.

Intervengono: Fabio D’Andrea e Alessandro Caruso.

Ore 10:30 – Inizio lavoro commissioni:

- Territorio: coordinano Michele Mannarella e Simone Sassetti

- Cultura: coordinano Gabriele Rizza e Matteo Smacchi

- Università: coordinano Giuseppe Romano (CDA dell’Università di Roma “ La Sapienza”) e Liano Magro (Esecutivo Nazionale di Azione Universitaria)

Ore 13:30 – Pranzo

Ore 15:00 – Plenaria. Presentazione del Manifesto della comunità Arcadia

Modera: Jennifer Gridelli

Presentazione del Manifesto: Gabriele Rizza

Interventi e dibattito

Conclusioni: Alessandro Petroli


una Comunità che non vuole mettere il punto ma andare a capo

giovedì 16 febbraio 2012

Gabriele Sandri, giustizia giusta

Due giorni fa la Cassazione si è pronunciata sul processo Gabriele Sandri, ucciso dall'agente di Polizia, Luigi Spaccarotella, l'11 Novembre 2007, nella stazione di Badia al Pino, vicino Arezzo, nell'Autostrada A1. L'ultimo grado di giudizio ha confermato la condanna a 9 anni e 4 mesi con l'accusa di omicidio volontario inflitta all'agente nel secondo grado di giudizio (capovolgendo la sentenza del primo grado, in cui Spaccarotella era stato accusato di omicidio colposo, e condannato a sei anni). Tra i tanti articoli che sono circolati dall'immediato post-sentenza, vorremmo condividere sulle nostre pagine quello scritto da Maurizio Martucci, giornalista e scrittore, scritto su "Il Fatto Quotidiano".


"Gabriele Sandri, giustizia giusta.

Omicidio volontario, è andata come doveva andare. Una sentenza definitiva che consegna alle patrie galere un pistolero che scambia l’autostrada più trafficata d’Italia in un far west, sfoderando dalla fondina l’arma d’ordinanza, esplodendo due colpi di rivoltella, uno ad altezza d’uomo e contro una macchina in transito nell’altra carreggiata, con cinque giovani a bordo. Uno lo ammazza. “Il diritto non è un terno all’otto – ha detto ieri in Corte Suprema di Cassazione il Procuratore Generale Francesco Iacoviellose pensassimo che lo sparatore fosse un pregiudicato, qualsiasi giudice impiegherebbe 20 secondi a condannarlo. Se invece pensassimo che a sparare fosse un tifoso, sarebbe stato condannato in 40 secondi”. Al di là della timing, è l’elementare principio della legge uguale per tutti. Perché l’11 Novembre 2007 sparò e uccise Luigi Spaccarotella, agente della Polizia Stradale, in servizio proprio su quel tratto autostradale.

Ultras contro polizia, tifosi ACAB contro tutori dell’ordine, come in un film. Su questa dicotomia si è cercato di far ruotare l’impalcatura immaginaria del processo, ma anche il dibattito nell’opinione pubblica. Quanto di più depistante per coprire impulsività e irrazionalità alla base dell’omicidio di Gabriele Sandri. Perché quando il galeotto Spaccarotella decise di esplodere il colpo mortale, Gabbo non era stato riconosciuto come sostenitore laziale (non aveva bandiere né sciarpe). Perché, per assurdo, anche se Sandri fosse stato il peggior pregiudicato e il più efferato criminale ricercato sulla faccia della terra, per come sono andati i fatti, riferiti da 5 testimoni super partes (pure una guida turistica giapponese!), Gabbo non meritava di essere ucciso in quel modo barbaro. Sparato a da una parte all’altra dell’autostrada, come una preda sacrificata al poligono di tiro. Sarebbe bastato semplicemente prendere il numero di targa della sua macchina, avvertire e chiudere i caselli dell’A1 per procedere all’identificazione degli occupanti del veicolo. Punto e basta. Nel rispetto di regole, legge e diritto. La cosa più normale del mondo che un pubblico ufficiale, codice penale alla mano, può e deve fare.

“Mi è stato riferito di alcune gravissime dichiarazioni rilasciate stamattina su Canale 5 dall’onorevole Daniela Santanché – scrive oggi su Facebook Giorgio Sandri, riferendosi ad un attacco della berlusconiana alla sentenza – significa infangare per l’ennesima volta l’operato e l’indipendenza della magistratura, omettendo tre gradi di giudizio. La politica deve capire che c’è un limite a tutto: dopo Ruby nipote di Mubarak… si vuol dire che Gabriele si è ucciso da solo? E che Spaccarotella è innocente? C’è chi continua a soffiare sul fuoco nel tentativo di contrapporre le tifoserie alle forze dell’ordine. L’Italia deve trovare il coraggio di cambiare.” Come dargli torto? Come continuare a sostenere l’insostenibile, solo per utilitaristici tornaconto personali e pure di basso profilo politico? Perché ostinarsi a negare evidenza e realtà dei fatti, nonostante l’autorevolezza del pronunciamento del vertice della giurisdizione ordinaria?

Mi avete condannato prima voi della stampa. I processi si fanno nei tribunali, non in televisione”, ha detto ieri sera un arrabbiatissimo Luigi Spaccarotella ai microfoni del Tg1, dimenticandosi che proprio un tribunale (e non massmedia e piazza forcaiola) l’ha condannato a 9 anni e 4 mesi di carcere, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Strano che Spaccarotella dimentichi i tempi in cui aveva tentato di utilizzare stampa e tv per invertire i ruoli di vittima e carnefice. E’ ancora on-line un servizio fotografico in esclusiva per L’Espresso che lo ritrae in un candido abito bianco da buon samaritano sulla scena del delitto. E come dimenticarsi le performance in simultanea al Tg2, su Sky e Canale 5, in cui si sperticò a cambiare (ad usum delphini) la versione dei fatti, negandosi poi all’interrogatorio in aula davanti ai giudici? E come non ricordare l’apparizione a Quarto Grado su Rete 4, in cui percorse mediaticamente la pista della pietas cristiana e della captatio benevolentiae, presentandosi a tiro di telecamera, strappa lacrime, con un rosario in mano?

L’uccisione di Gabriele Sandri, una giornata buia della Repubblica, fu il sottotitolo del mio libro uscito nel 2008, in libreria prima ancora della fase dibattimentale in Corte d’Assise. Già all’epoca, analizzando in un’inchiesta verità il caso, senza tabù né peli sulla lingua scrissi apertamente che si trattava di omicidio volontario. Watchdog function, quasi un secolo fa ripeteva Lord John Reiht, storico direttore della BBC. Evidentemente non mi ero sbagliato."
Maurizio Martucci

Fonte: Il Fatto Quotidiano , 15 Febbraio 2012

sabato 11 febbraio 2012

Non voglio mica la luna

Nelle ultime settimane abbiamo potuto assistere a delle strane dichiarazioni, in ordine di apparizione, di Martone, Monti e Cancellieri, che senza dubbio ci spingono – noi appartenenti alle giovani generazioni - ad una domanda più che lecita: “Ma che vi abbiamo fatto di male per meritarci questo accanimento?”.

Si perché, passi il “bamboccioni” del fu-Padoa Schioppa. Passi una delle tante boutade del Cavaliere sull’andare a lavorare all’estero (oltretutto, di fronte alla folla di Atreju, con noi presenti che ci guardavamo tra l’incredulo e l’incazzato), e per cui si sollevarono comunque polveroni su polveroni. Ma tre di fila, in rapida successione, dette da tre rappresentanti del governo apparentemente più sobrio che l’Italia abbia mai visto, ci lasciano perplessi.
Cominciamo dall’ultima, di pochi giorni fa, della Cancellieri, in cui il ministro, in poche parole, dichiara un malcelato disprezzo verso quell’Italietta che, rispetto all’Europa, è mentalmente ferma al posto fisso vicino a mamma e papà, aggiungendolo al carico alle dichiarazioni – con annesso diritto di mal interpretazione – del Professor Monti che ci fa capire senza troppi giri di parole che per noi, nuove leve d’Italia, il posto fisso sarà solo un “brutto” ricordo del passato, liquidandolo addirittura come monotono. E invitandoci a prendere in considerazione l’idea di un futuro lontano dall’Italia (a ben vedere simili alle parole di Berlusconi, ma con tono decisamente meno giocondo, e senza però il sollevarsi dell’opinione pubblica, stavolta). E per ultimo le parole del sottosegretario Martone, il più giovane del tecnico team di governo, secondo cui chi non si laurea entro i 28 anni è uno “sfigato”, senza troppi giri di parole, senza casi specifici, senza se e senza ma.


Prese singolarmente, sono dichiarazioni che lascerebbero il tempo che trovano. Ma unendo i pezzi del puzzle, ne esce fuori un quadretto da far mettere le mani nei capelli.
Ma oltre alla sacrosanta domanda che ci viene in mente (“Ma che vi abbiamo fatto di male?” di cui sopra), si aggiungono anche una serie di riflessioni. Giuste o sbagliate che siano.
Innanzitutto, cominciamo dal dire che il problema forse non sono tanto i giovani, il posto fisso, o lo stare vicino a casa (su cui, sinceramente, in questi termini, non ci vediamo granchè di errato). Quanto della mancanza di opportunità di entrare nel mercato del lavoro.
Parlare di posto fisso, nell’epoca del precariato, sembrerebbe appunto un’utopia. E forse, proprio perché giovani, siamo utopici. Forse anche questo è un segno dei tempi. Un tempo si rincorrevano le ideologie, troppo utopiche per essere attuate alla lettera. Oggi si insegue un posto fisso e una stabilità.
Ma torniamo a noi. Parlare in quest’epoca storica di posto fisso, come dicevamo, sembrerebbe un’utopia, sarebbe poco opportuno. Il problema è che, di contro, questa generazione si ritrova davanti un precariato che non ha nulla a che vedere con quello che viene applicato nel resto d’Europa, e al quale i nostri “tecno”-ministri si ispirano. Ovvero quella “flexicurity” che però è attuabile solo se ci sono molte opportunità di lavoro. Altrimenti ci si ritrova in quella “tonnara sociale” che è l’attuale sistema, la cui rete sono i pochi posti di lavoro e mal retribuiti, e le prede i milioni di giovani che fanno anche a gara per accaparrarsi il posto (che tralaltro spesso non tiene nemmeno conto delle varie competenze e degli studi di ognuno) pur di iniziare quell’esperienza necessaria per entrare nel mercato del lavoro, e cercare di ambire a posti più qualificanti.
E senza contare dimenticare quei giovani (ma anche non più giovani) che non hanno scelto un percorso universitario, ma si sono riversati nel mondo del lavoro, nelle fabbriche, nelle aziende, che si trovano a lottare con le scelte delocalizzatrici dei loro datori di lavoro.
A questo, si aggiunga anche la difficoltà di poter accedere ad un mutuo, per il quale bisogna rilasciare delle garanzie che l’attuale sistema lavorativo precario non può dare alle banche, e la conseguente difficoltà di abbandonare mamma e papà ancora alla veneranda età di 30 e passa anni per potersi fare una famiglia.
Il quadro appena accennato certo non è dei migliori, e in qualche modo, si, è anche normale rifugiarsi nell’utopia del posto fisso, monotono, ma vicino a mamma e papà, e alle proprie radici e tradizioni.
E se lo dicono dei ragazzi che, per continuare a studiare, sono andati chilometri e chilometri lontano da casa, abbandonando quel nido che la Cancellieri non vorrebbe neanche sentir nominare, e vivendo delle esperienze estranee a quelle del nucleo familiare, forse un minimo c’è da starci a sentire. Anche perchè, non stiamo certo chiedendo la luna, ma solo la certezza di avere un futuro.
Soprattutto perché siamo noi quei giovani a cui il ministro Fornero si è rivolta all’inaugurazone dell’anno accademico all’Università di Torino, secondo cui “se non riusciremo a convincere i giovani del tentativo di questo governo, avremo fallito il nostro compito, perché è per dare prospettive ai giovani che questo governo è stato chiamato. Ad oggi, sinceramente, possiamo dire che no, non ci hanno per niente convinto. Non è maltrattandoci che ci convinceranno.

giovedì 9 febbraio 2012

10 Febbraio : uccisi perchè italiani


Foiba, parola che rimanda ad una peculiarità geografica del territorio istriano, cavità profonde anche duecento metri. Eppure non immaginiamo come la geografia possa diventare complice dei più grandi delitti, feroci massacri della nostra storia recente. Perché prima nel 1943 e poi a partire dall’Aprile del 1945, migliaia di cittadini italiani vennero gettati in molte delle 1700 foibe dell’Istria, i più fortunati toccarono “il fondo” già morti, altri ancora vivi. Infatti, i partigiani comunisti jugoslavi, guidati da Tito, vista la certezza della sconfitta del fascismo in Italia, volevano annettere alla futura “grande” Jugoslavia, quei territori come l’Istria, la Dalmazia e la città di Fiume, facenti parte integrante dello Stato italiano e abitati in grande maggioranza da italiani e in minoranza da slavi. Il rapporto non fu quasi mai facile, soprattutto dopo che la cultura nazionalista di fine XIX secolo si diffuse in Europa. I rapporti si complicarono soprattutto negli anni del fascismo, con il forte carattere patriottico del regime e l’uso obbligato della lingua italiana nei luoghi pubblici, anche per chi, da sempre, parlava lo sloveno. Così con la sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale, iniziò per i “titini”(come venivano definiti i seguaci di Tito) il periodo della vendetta e di una vera e propria pulizia etnica. Il progetto era: esiliare gli italiani, se necessario eliminarli fisicamente. Così fu.
Non era una questione di appartenenza politica o sociale, ma una questione di nazionalità e di lingua. Tutti coloro che non volevano collaborare venivano imprigionati, legati l’uno con l’altro all’imbocco della foiba e fucilati, in questo modo i corpi precipitavano in fondo, dove anche se si era rimasti vivi era impossibile risalirne. Vennero gettati uomini, donne e bambini, senza distinzione: ecco l’uguaglianza di genere dei partigiani jugoslavi.

L’omertà non risiede solo nel sud Italia, infatti molti furono gli italiani che accettarono lo status quo senza dire nulla, sia in Istria e in Dalmazia che nel resto d’Italia. Molti addirittura collaborarono, è il caso di molti militanti comunisti italiani, che speravano di costruire dopo la guerra, il paradiso in terra con il comunismo di Tito. Forse fecero quello in terra, ma quello nell’aldilà probabilmente no. I cosiddetti “infobiati”, furono circa 20.000 persone, alcuni studiosi dicono 30.000 altri 10.000, quantificare è difficile perché molti corpi non vennero recuperati, le autorità dei paesi del Balcani, anche in tempi recenti, non hanno mai voluto collaborare alle indagini e cosa ancor più grave l’Italia della Costituzione, si mosse troppo tardi per capirne di più. Del resto, per molto tempo, i soli a sapere come le cose andarono furono i profughi italiani che lasciarono le loro case, la loro terra, le radici che furono e quelle che dovevano essere. Questi furono circa 350.000. Quando molti di questi arrivarono a Bologna dopo il 25 Aprile del 1945, perchè le truppe della Repubblica Sociale Italiana dovettero abbandonarli per la sconfitta subita, furono accolti dal grido “Fascisti”, furono scherniti e abbandonati . E c’è chi dice che gli italiani sono il popolo più solidale nella misera e nella difficoltà.
Del resto tutto andava bene se chi doveva essere giustiziato fu giustiziato, se la Chiesa e la sezione del Partito comunista erano aperti; e ci si dimentica delle sofferenze dei nostri fratelli quando arriva il “ Piano Marshall” dagli Stati Uniti a portarci benessere.

Solo recentemente il Parlamento ha stabilito il “10 febbraio” come giornata del ricordo. Ci sono voluti più di sessant’anni per onorare degli italiani uccisi in quanto italiani, per ricordare italiani che furono costretti ad abbandonare le loro case. Si spera che almeno chi aveva la responsabilità di aiutare quella gente, chi doveva parlare ai ragazzi nelle scuole e nelle Università di quanto è accaduto, non abbia la coscienza apposto, ma forse per come a volte va l’Italia è molto probabile che queste persone sostengano di avere avuto ragione. Allora chissà, forse vorranno restare o sono restati nel Paradiso terreno di Tito, Stalin e di buona parte del PCI italiano.

Gabriele

martedì 7 febbraio 2012

Peter Pan: "C'è chi vuole diventare grande in Italia"


« L’eco del ministro Cancellieri al sottosegretario Martone e al Premier Monti ci convince che i tecnici non hanno fiducia nelle giovani generazioni. Continuate a offenderci in tanti modi, a dipingerci come sfigati, monotoni, mammoni. Siamo in tanti a vivere lontani da casa, ma data la scarsa fiducia che i baroni al Governo hanno delle nostre generazioni saremo costretti a restare lontani dall’Italia. Ci vorreste rigidi come gli svedesi, silenziosi come i danesi, freddi come i tedeschi, vecchi come voi, ma noi resteremo sempre quelli che siamo: giovani. » - dichiara l’eterno fanciullo Peter Pan. I dirigenti della comunità politica di Arcadia, vicina al PdL, si immedesimano ironicamente nell'eterno ragazzo per replicare all'infelice battuta del ministro dell'Interno. E prosegue: «Le politiche di flexicurity che volete adottare mirano solo ed esclusivamente all’anello debole della catena, infischiandosene dei poteri forti che sobriamente difendete. Inutile polemizzare sul posto fisso, noi non l’abbiamo mai conosciuto; noi crediamo nella flessibilità a parità di garanzie e soprattutto in presenza di opportunità lavorative. Piuttosto che tornare penso che resterò qui con Capitan Uncino, anche se devo ammettere che il mio sogno nel cassetto è di diventar grande in Italia".« Faccio più di un lavoro al giorno, non ho garanzie, non riesco a far quadrare i conti e ci vorrebbe la bacchetta magica per comprare nuovi vestiti. Di firmare un contratto non se ne parla, pare che non convenga assicurarmi. Volevo comprar casa e lasciare quella di famiglia, ma senza garanzie non mi concedono alcun mutuo.» ha aggiunto Cenerentola. Lo sberleffo dei giovani di Arcadia continua con l'immedesimazione nella sognatrice protagonista della favola di Walt Disney. «Mi piacerebbe anche metter su famiglia quando troverò un ragazzo - ormai non più necessariamente un principe azzurro- ma di questi tempi dicono che sia una cosa dispendiosa. Ho tante ambizioni, per questo non voglio mollare. Mi piacerebbe» - conclude - «però che ci siano maggiori opportunità e rispetto per il valore di tanti giovani come me che, nonostante l’impegno i sacrifici, non vengono utilizzati per la crescita di questo paese. In fondo, non stiamo mica chiedendo la luna, ma solo un futuro degno di tale nome ».