sabato 11 febbraio 2012

Non voglio mica la luna

Nelle ultime settimane abbiamo potuto assistere a delle strane dichiarazioni, in ordine di apparizione, di Martone, Monti e Cancellieri, che senza dubbio ci spingono – noi appartenenti alle giovani generazioni - ad una domanda più che lecita: “Ma che vi abbiamo fatto di male per meritarci questo accanimento?”.

Si perché, passi il “bamboccioni” del fu-Padoa Schioppa. Passi una delle tante boutade del Cavaliere sull’andare a lavorare all’estero (oltretutto, di fronte alla folla di Atreju, con noi presenti che ci guardavamo tra l’incredulo e l’incazzato), e per cui si sollevarono comunque polveroni su polveroni. Ma tre di fila, in rapida successione, dette da tre rappresentanti del governo apparentemente più sobrio che l’Italia abbia mai visto, ci lasciano perplessi.
Cominciamo dall’ultima, di pochi giorni fa, della Cancellieri, in cui il ministro, in poche parole, dichiara un malcelato disprezzo verso quell’Italietta che, rispetto all’Europa, è mentalmente ferma al posto fisso vicino a mamma e papà, aggiungendolo al carico alle dichiarazioni – con annesso diritto di mal interpretazione – del Professor Monti che ci fa capire senza troppi giri di parole che per noi, nuove leve d’Italia, il posto fisso sarà solo un “brutto” ricordo del passato, liquidandolo addirittura come monotono. E invitandoci a prendere in considerazione l’idea di un futuro lontano dall’Italia (a ben vedere simili alle parole di Berlusconi, ma con tono decisamente meno giocondo, e senza però il sollevarsi dell’opinione pubblica, stavolta). E per ultimo le parole del sottosegretario Martone, il più giovane del tecnico team di governo, secondo cui chi non si laurea entro i 28 anni è uno “sfigato”, senza troppi giri di parole, senza casi specifici, senza se e senza ma.


Prese singolarmente, sono dichiarazioni che lascerebbero il tempo che trovano. Ma unendo i pezzi del puzzle, ne esce fuori un quadretto da far mettere le mani nei capelli.
Ma oltre alla sacrosanta domanda che ci viene in mente (“Ma che vi abbiamo fatto di male?” di cui sopra), si aggiungono anche una serie di riflessioni. Giuste o sbagliate che siano.
Innanzitutto, cominciamo dal dire che il problema forse non sono tanto i giovani, il posto fisso, o lo stare vicino a casa (su cui, sinceramente, in questi termini, non ci vediamo granchè di errato). Quanto della mancanza di opportunità di entrare nel mercato del lavoro.
Parlare di posto fisso, nell’epoca del precariato, sembrerebbe appunto un’utopia. E forse, proprio perché giovani, siamo utopici. Forse anche questo è un segno dei tempi. Un tempo si rincorrevano le ideologie, troppo utopiche per essere attuate alla lettera. Oggi si insegue un posto fisso e una stabilità.
Ma torniamo a noi. Parlare in quest’epoca storica di posto fisso, come dicevamo, sembrerebbe un’utopia, sarebbe poco opportuno. Il problema è che, di contro, questa generazione si ritrova davanti un precariato che non ha nulla a che vedere con quello che viene applicato nel resto d’Europa, e al quale i nostri “tecno”-ministri si ispirano. Ovvero quella “flexicurity” che però è attuabile solo se ci sono molte opportunità di lavoro. Altrimenti ci si ritrova in quella “tonnara sociale” che è l’attuale sistema, la cui rete sono i pochi posti di lavoro e mal retribuiti, e le prede i milioni di giovani che fanno anche a gara per accaparrarsi il posto (che tralaltro spesso non tiene nemmeno conto delle varie competenze e degli studi di ognuno) pur di iniziare quell’esperienza necessaria per entrare nel mercato del lavoro, e cercare di ambire a posti più qualificanti.
E senza contare dimenticare quei giovani (ma anche non più giovani) che non hanno scelto un percorso universitario, ma si sono riversati nel mondo del lavoro, nelle fabbriche, nelle aziende, che si trovano a lottare con le scelte delocalizzatrici dei loro datori di lavoro.
A questo, si aggiunga anche la difficoltà di poter accedere ad un mutuo, per il quale bisogna rilasciare delle garanzie che l’attuale sistema lavorativo precario non può dare alle banche, e la conseguente difficoltà di abbandonare mamma e papà ancora alla veneranda età di 30 e passa anni per potersi fare una famiglia.
Il quadro appena accennato certo non è dei migliori, e in qualche modo, si, è anche normale rifugiarsi nell’utopia del posto fisso, monotono, ma vicino a mamma e papà, e alle proprie radici e tradizioni.
E se lo dicono dei ragazzi che, per continuare a studiare, sono andati chilometri e chilometri lontano da casa, abbandonando quel nido che la Cancellieri non vorrebbe neanche sentir nominare, e vivendo delle esperienze estranee a quelle del nucleo familiare, forse un minimo c’è da starci a sentire. Anche perchè, non stiamo certo chiedendo la luna, ma solo la certezza di avere un futuro.
Soprattutto perché siamo noi quei giovani a cui il ministro Fornero si è rivolta all’inaugurazone dell’anno accademico all’Università di Torino, secondo cui “se non riusciremo a convincere i giovani del tentativo di questo governo, avremo fallito il nostro compito, perché è per dare prospettive ai giovani che questo governo è stato chiamato. Ad oggi, sinceramente, possiamo dire che no, non ci hanno per niente convinto. Non è maltrattandoci che ci convinceranno.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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