mercoledì 8 dicembre 2010

Ammainate le bandiere


Nel calcio in cui in testa alle classifiche non ci sono clubs o nazionali ma pay tv e parabole, in cui il risultato non si misura con le reti segnate ma con i milioni incassati, in uno sport dove la moviola assume la stessa forza di un sorriso per un gol, lo sciopero dei calciatori è l’ultimo grido di sopravvivenza di un gioco che pian piano ha perso i suoi contenuti ricreativi a favore di una logica aziendalista, che prescinde dal tifo così come dall’interesse dei suoi super celebrati e arcipagati dipendenti.

Quando si chiede ai calciatori di sottoscrivere un nuovo contratto collettivo che prevede, tra l’altro, la possibilità di un trasferimento ad un club dello stesso livello a parità di salario, qualora il club di appartenenza si accordi con l’altra società, a pena di una rescissione unilaterale del contratto e del pagamento di una multa che ammonta al 50% dello stipendio a carico del dipendente nababbo, sostanzialmente si informa la gentile clientela di appassionati che il calcio ha abdicato definitivamente ai suoi contorni ludici, a favore dell’interesse dei presidenti.

Persone fisiche, elette nel ruolo di guida di società che portano al fianco di un nome una storia sensibile, bagaglio di emozioni, ricordi, affetti personali. Il dipendente, di per sé un privilegiato, non tanto per il denaro che arriva a fine mese, quanto per la opportunità di ricevere un grasso salario a fronte della possibilità di infiammare i cuori e regalare emozioni, diventa una casella professionalmente stragapata e iperspecializzata.

In tutta questa strana storia, i veri sconfitti sono i tifosi, ai quali si chiede, ormai in maniera non tanto velata da più di qualche anno, di disaffezionarsi al giocatore simbolo e di sostenere senza se e senza ma gli interessi (economici) della squadra, gestititi in prima persona da presidenti sensibili alla storia, come si diceva, ma anche al portafoglio.

Pensiamo al caso Pandev-Lazio e Di Natale-Juventus. Il primo a seguito del mancato prolungamento del contratto alle condizioni esposte dal Presidente Lotito è stato fermo per mesi, prima di essere liberato dalla decisione del Collegio Arbitrale e poi approdare a costo zero all’Inter. Discorso diverso invece per Di Natale, sostanzialmente venduto dalla dirigenza dell’Udinese in estate alla Juventus, con il procuratore in viaggio per Torino, e lui che invece alla presentazione della squadra in ritiro decide di consolidare il suo legame con il Friuli e l’Udinese. Per Pandev non sarebbe stato difficile immaginare una trattativa gestita direttamente da Lotito con altre squadre al fine di non perdere il giocatore senza ricavarci nulla, Di Natale si sarebbe trovato nella scomoda posizione di dover accettare un contratto di lusso che però lo portava in una situazione lavorativa che evidentemente non lo aggradava e tradire i sogni e l’affetto che la sua gente non ha mai fatto a meno di esprimergli.

In questo calcio delle pay tv e della tessera del tifoso, qualcuno non ha ancora capito che giocatori e sostenitori sono dalla stessa parte, non vittime ma attori di un sistema governato da pochi. Cosa si direbbe se i calciatori decidessero di scioperare per opporsi alle partite delle 12.30? E d’altro canto lo sciopero non è stata la forma di contestazione più utilizzata contro la tessera voluta dal Ministro Maroni? I presidenti in questo domino stanno reclamando un’autorità senza controllo, che modificherebbe da qui a breve sostanzialmente il calcio italiano.Soprattutto in questa guerra tra ricchi, mettersi dalla parte dei presidenti, significherebbe sostenere che i diritti valgono in base al reddito che ognuno porta a casa a fine anno. Ossia la tesi per cui un datore di lavoro, peraltro più ricco di loro, possa superare un quadro sancito da contratti sottoscritti, solo perché i suoi dipendenti sono persone milionarie, e quindi spostarle in base alla convenienza del caso.

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